Sondaggio: [POL-IT]Referendum sulla DEVOLUTION

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Riccardo.cuordileone
00lunedì 5 giugno 2006 17:21
Ovviamente io voterò si anche se è solo un piccolo passo verso il vero federalismo, inoltre voterò si per altre modifiche come il premierato, la riduzione dei parlamentari, il ridimensionamento dei poteri del presidente della repubblica ecc.
Seth Gecko
00lunedì 5 giugno 2006 17:26
voterò no
Arvedui
00lunedì 5 giugno 2006 17:36
Probabilmente voterò si
Lpoz
00lunedì 5 giugno 2006 17:49
anche io tendo al si
(Upuaut)
00lunedì 5 giugno 2006 18:34
Un bel NO secco

Lux-86
00lunedì 5 giugno 2006 18:48
a meno di fatti imprevedibili (tipo lavaggio del cervello o apparizione divina) voterò NO
Vota DC
00lunedì 5 giugno 2006 18:52
Gli USA inorridiscono sentendo paragonare la devolution al federalismo.
Seth Gecko
00lunedì 5 giugno 2006 18:52
Re:

Scritto da: Lux-86 05/06/2006 18.48
(tipo lavaggio del cervello o apparizione divina)



io metto nel novero anche le apparizioni DI VINO. magari se mi fanno bere un paio di damigiane poteri anche sbagliare a votare...
(Upuaut)
00martedì 6 giugno 2006 10:36
Salviamo la Costituzione: aggiornarla, non demolirla!
di Enzo Galbiati

Domenica 25 e lunedì 26 giugno saremo chiamati alle urne per esprimere il nostro voto in merito alla riforma della Costituzione proposta dal Centro destra. Questo referendum rischia di essere più importante delle elezioni politiche dello scorso aprile, perché se la radicale modifica della Costituzione promossa dalla Casa delle Libertà dovesse essere approvata dal voto popolare, l’intero equilibrio delle istituzioni pubbliche sarebbe pregiudicato e le stesse modalità del confronto politico – così come le abbiamo conosciute in più di 50 anni di democrazia repubblicana – verrebbero profondamente modificate. Prima di esporre le ragioni che inducono noi dell’Ulivo a votare NO, è necessario presentare gli aspetti più rilevanti della complessa questione.
Innanzitutto, occorre ribadire che la Costituzione Italiana è la legge fondamentale che garantisce i diritti di tutti i cittadini. Essa è in vigore dal 1° gennaio 1948 ed è il frutto di due anni di lavori dell'Assemblea Costituente, eletta nel 1946 a seguito di eventi epocali: la fine della seconda guerra mondiale, il crollo del fascismo e il referendum istituzionale con cui gli italiani scelsero la Repubblica. La Costituzione fu approvata quasi all’unanimità dai componenti l’Assemblea Costituente e rappresenta tuttora la sintesi delle tre culture politiche che stanno alle radici dello Stato italiano: le culture cattolica, socialista e liberale. Un’efficace testimonianza di questa sintesi è il sapiente equilibrio che regola le tre sezioni in cui si articola la Carta Costituzionale: i Principi fondamentali (articoli 1-12), la Parte I relativa ai diritti e ai doveri dei cittadini (articoli 13-54) e la Parte II riguardante l’ordinamento della Repubblica (articoli 55- 139). Il disegno istituzionale complessivo consegnatoci dai costituenti delinea i tratti di una democrazia parlamentare in cui il ruolo e i poteri del Capo del Governo sono subordinati alle funzioni di indirizzo e di controllo dei rappresentanti del Parlamento, mentre i poteri delle Regioni trovano il loro limite naturale nella legislazione nazionale, che stabilisce il livello minimo essenziale delle garanzie al di sotto del quale non è possibile andare in nessuna area del nostro stato.
Come tutte le leggi fondamentali degli odierni stati democratici, anche la Costituzione italiana può essere modificata. E’ già successo varie volte in passato, sempre tuttavia rispettando l’unico limite al potere di revisione costituzionale del Parlamento stabilito dalla stessa Carta: il rispetto dei principi fondamentali e dei diritti affermati nella prima parte della Costituzione.
Eppure tale limite è stato superato nel novembre del 2005, quando l’allora maggioranza di Centro destra, contro il parere di esperti di diritto costituzionale, di moltissimi enti locali e di larga parte dell’opinione pubblica, ha approvato, senza un largo consenso parlamentare e con il voto contrario dell’Unione di Centro sinistra, una legge di riforma costituzionale che modifica radicalmente più di 50 articoli della Parte II della Costituzione, cioè di tutti quegli articoli che disciplinano le funzioni dei più importanti organi dello Stato: il Presidente della Repubblica, la Corte Costituzionale, le due Camere del Parlamento, il Governo e le autonomie locali.
Noi dell’Ulivo siamo contro questa riforma perché le soluzioni proposte distorcono o addirittura capovolgono i punti fissati dalla Carta Costituzionale del 1948. Nella riforma del Centro destra si sostiene, per esempio, la legittimazione diretta del Primo Ministro, il rafforzamento del sistema delle autonomie (la cosiddetta “devolution”), il superamento del bicameralismo perfetto con l’introduzione del Senato federale, la riduzione del numero dei parlamentari (l’unico aspetto certamente positivo). Limitandoci ad analizzare solo i primi due aspetti, si può affermare che in entrambi i casi la Casa delle libertà non raggiunge il bersaglio.
In primo luogo l'obiettivo della legittimazione diretta del Premier e il rafforzamento del governo sono configurati in modo contraddittorio ed irrispettoso nei confronti delle minoranze ed in definitiva del popolo sovrano. Infatti l’obiettivo della coerenza delle maggioranze è costruito in maniera tale da rendere i governi prigionieri di esigue minoranze interne alla maggioranza: il Primo Ministro, designato dagli elettori, ottenuta dalla sola Camera dei deputati l’approvazione del programma, dura in carica tutta la legislatura e un’eventuale sfiducia produce lo scioglimento anticipato della Camera; questo tuttavia può essere evitato solo da una sfiducia costruttiva che può però essere votata solo dai deputati appartenenti alla stessa maggioranza del Primo Ministro uscente, esautorando di fatto e di diritto i rappresentanti del popolo che stanno all’opposizione.
In secondo luogo l’obiettivo del rafforzamento del sistema delle autonomie mediante un federalismo moderno ed efficiente – tanto conclamato dalla Lega Nord - è contraddetto dalla previsione di limiti tali da soffocare le autonomie regionali e il necessario potere di indirizzo dello Stato. Inoltre l’introduzione di un’accentuata autonomia regionale in materie delicate quali la scuola e la sanità rischia di minacciare i principi di uguaglianza dei cittadini e di unità e indivisibilità della Nazione, con il rischio effettivo di avere 20 diversi sistemi sanitari e scolastici a seconda delle politiche decise autonomamente ed esclusivamente da ciascuna Regione.
Come si nota, in entrambi i casi è evidente il contrasto con i principi fondamentali garantiti dalla Prima Parte della Costituzione.
Del resto anche l’invenzione del concetto di “devolution” rappresenta solo il tentativo di mascherare, dietro il termine inglese, la parola italiana “secessione”, che è invece molto più chiara. Non si può al riguardo non sottoscrivere quanto affermato dallo scrittore Claudio Magris sul Corriere della Sera del 18 ottobre 2005, in occasione dell’approvazione della riforma: “E secessione significa, appunto, distruggere l'unità del Paese. A questa unità — a questo senso di più vasta appartenenza comune, pur nella creativa e amata varietà di città, territori, tradizioni, dialetti e costumi diversi — si vuol contrapporre un ringhioso micronazionalismo locale, spiritualmente strozzato dal proprio cordone ombelicale conservato sott'olio e chiuso a ogni incontro, pronto ad alzare ponti levatoi i quali offendono anzitutto il libero e schietto amore per il luogo natio, che è il piccolo angolo in cui impariamo a conoscere e ad amare il mondo”.

Insomma: dal progetto di riforma del Centro destra la Costituzione repubblicana e con essa lo Stato italiano escono stravolti ed indeboliti. Se non si riuscisse a fermare questa riforma con il voto popolare avremmo autonomie regionali meno garantite, governi nazionali meno controllabili, diritti sociali meno certi e maggioranze parlamentari meno libere.
Per questo vi invitiamo a votare NO al referendum del 25 e 26 giugno!


(Upuaut)
00martedì 6 giugno 2006 10:36
Salviamo la Costituzione: aggiornarla, non demolirla!
di Enzo Galbiati

Domenica 25 e lunedì 26 giugno saremo chiamati alle urne per esprimere il nostro voto in merito alla riforma della Costituzione proposta dal Centro destra. Questo referendum rischia di essere più importante delle elezioni politiche dello scorso aprile, perché se la radicale modifica della Costituzione promossa dalla Casa delle Libertà dovesse essere approvata dal voto popolare, l’intero equilibrio delle istituzioni pubbliche sarebbe pregiudicato e le stesse modalità del confronto politico – così come le abbiamo conosciute in più di 50 anni di democrazia repubblicana – verrebbero profondamente modificate. Prima di esporre le ragioni che inducono noi dell’Ulivo a votare NO, è necessario presentare gli aspetti più rilevanti della complessa questione.
Innanzitutto, occorre ribadire che la Costituzione Italiana è la legge fondamentale che garantisce i diritti di tutti i cittadini. Essa è in vigore dal 1° gennaio 1948 ed è il frutto di due anni di lavori dell'Assemblea Costituente, eletta nel 1946 a seguito di eventi epocali: la fine della seconda guerra mondiale, il crollo del fascismo e il referendum istituzionale con cui gli italiani scelsero la Repubblica. La Costituzione fu approvata quasi all’unanimità dai componenti l’Assemblea Costituente e rappresenta tuttora la sintesi delle tre culture politiche che stanno alle radici dello Stato italiano: le culture cattolica, socialista e liberale. Un’efficace testimonianza di questa sintesi è il sapiente equilibrio che regola le tre sezioni in cui si articola la Carta Costituzionale: i Principi fondamentali (articoli 1-12), la Parte I relativa ai diritti e ai doveri dei cittadini (articoli 13-54) e la Parte II riguardante l’ordinamento della Repubblica (articoli 55- 139). Il disegno istituzionale complessivo consegnatoci dai costituenti delinea i tratti di una democrazia parlamentare in cui il ruolo e i poteri del Capo del Governo sono subordinati alle funzioni di indirizzo e di controllo dei rappresentanti del Parlamento, mentre i poteri delle Regioni trovano il loro limite naturale nella legislazione nazionale, che stabilisce il livello minimo essenziale delle garanzie al di sotto del quale non è possibile andare in nessuna area del nostro stato.
Come tutte le leggi fondamentali degli odierni stati democratici, anche la Costituzione italiana può essere modificata. E’ già successo varie volte in passato, sempre tuttavia rispettando l’unico limite al potere di revisione costituzionale del Parlamento stabilito dalla stessa Carta: il rispetto dei principi fondamentali e dei diritti affermati nella prima parte della Costituzione.
Eppure tale limite è stato superato nel novembre del 2005, quando l’allora maggioranza di Centro destra, contro il parere di esperti di diritto costituzionale, di moltissimi enti locali e di larga parte dell’opinione pubblica, ha approvato, senza un largo consenso parlamentare e con il voto contrario dell’Unione di Centro sinistra, una legge di riforma costituzionale che modifica radicalmente più di 50 articoli della Parte II della Costituzione, cioè di tutti quegli articoli che disciplinano le funzioni dei più importanti organi dello Stato: il Presidente della Repubblica, la Corte Costituzionale, le due Camere del Parlamento, il Governo e le autonomie locali.
Noi dell’Ulivo siamo contro questa riforma perché le soluzioni proposte distorcono o addirittura capovolgono i punti fissati dalla Carta Costituzionale del 1948. Nella riforma del Centro destra si sostiene, per esempio, la legittimazione diretta del Primo Ministro, il rafforzamento del sistema delle autonomie (la cosiddetta “devolution”), il superamento del bicameralismo perfetto con l’introduzione del Senato federale, la riduzione del numero dei parlamentari (l’unico aspetto certamente positivo). Limitandoci ad analizzare solo i primi due aspetti, si può affermare che in entrambi i casi la Casa delle libertà non raggiunge il bersaglio.
In primo luogo l'obiettivo della legittimazione diretta del Premier e il rafforzamento del governo sono configurati in modo contraddittorio ed irrispettoso nei confronti delle minoranze ed in definitiva del popolo sovrano. Infatti l’obiettivo della coerenza delle maggioranze è costruito in maniera tale da rendere i governi prigionieri di esigue minoranze interne alla maggioranza: il Primo Ministro, designato dagli elettori, ottenuta dalla sola Camera dei deputati l’approvazione del programma, dura in carica tutta la legislatura e un’eventuale sfiducia produce lo scioglimento anticipato della Camera; questo tuttavia può essere evitato solo da una sfiducia costruttiva che può però essere votata solo dai deputati appartenenti alla stessa maggioranza del Primo Ministro uscente, esautorando di fatto e di diritto i rappresentanti del popolo che stanno all’opposizione.
In secondo luogo l’obiettivo del rafforzamento del sistema delle autonomie mediante un federalismo moderno ed efficiente – tanto conclamato dalla Lega Nord - è contraddetto dalla previsione di limiti tali da soffocare le autonomie regionali e il necessario potere di indirizzo dello Stato. Inoltre l’introduzione di un’accentuata autonomia regionale in materie delicate quali la scuola e la sanità rischia di minacciare i principi di uguaglianza dei cittadini e di unità e indivisibilità della Nazione, con il rischio effettivo di avere 20 diversi sistemi sanitari e scolastici a seconda delle politiche decise autonomamente ed esclusivamente da ciascuna Regione.
Come si nota, in entrambi i casi è evidente il contrasto con i principi fondamentali garantiti dalla Prima Parte della Costituzione.
Del resto anche l’invenzione del concetto di “devolution” rappresenta solo il tentativo di mascherare, dietro il termine inglese, la parola italiana “secessione”, che è invece molto più chiara. Non si può al riguardo non sottoscrivere quanto affermato dallo scrittore Claudio Magris sul Corriere della Sera del 18 ottobre 2005, in occasione dell’approvazione della riforma: “E secessione significa, appunto, distruggere l'unità del Paese. A questa unità — a questo senso di più vasta appartenenza comune, pur nella creativa e amata varietà di città, territori, tradizioni, dialetti e costumi diversi — si vuol contrapporre un ringhioso micronazionalismo locale, spiritualmente strozzato dal proprio cordone ombelicale conservato sott'olio e chiuso a ogni incontro, pronto ad alzare ponti levatoi i quali offendono anzitutto il libero e schietto amore per il luogo natio, che è il piccolo angolo in cui impariamo a conoscere e ad amare il mondo”.

Insomma: dal progetto di riforma del Centro destra la Costituzione repubblicana e con essa lo Stato italiano escono stravolti ed indeboliti. Se non si riuscisse a fermare questa riforma con il voto popolare avremmo autonomie regionali meno garantite, governi nazionali meno controllabili, diritti sociali meno certi e maggioranze parlamentari meno libere.
Per questo vi invitiamo a votare NO al referendum del 25 e 26 giugno!


-Giona-
00martedì 6 giugno 2006 11:32
www.corriere.it/Primo_Piano/Editoriali/2006/06_Giugno/01/panebian...

«Una scelta per proseguire le riforme
O vincono i conservatori a oltranza»

Le norme sul Senato sono il principale punto debole Condivido molte idee di Barbera e Ceccanti, ma il «no» toglierebbe ogni spazio
di
Angelo Panebianco

Per decidere come comportarsi nel referendum costituzionale del 25 giugno credo si debbano immaginare gli scenari che discenderebbero, rispettivamente, da una vittoria del sì e da una vittoria del no. Pensiamo a che cosa accadrebbe se vincesse il sì. Le parti più importanti della riforma entrerebbero in vigore solo nel 2011. Ci sarebbe il tempo per intervenire sugli aspetti più insoddisfacenti del testo: in particolare, per modificare composizione e prerogative del Senato (così come è congegnato è il principale punto debole della riforma).
Si noti che molti esponenti del centrodestra si sono dichiarati consapevoli della necessità di apportare modifiche su questo e altri punti. In caso di vittoria del sì, si aprirebbe dunque lo spazio (con cinque anni di tempo per raggiungere un accordo) per una trattativa fra centrosinistra e centrodestra al fine di migliorare il testo. Una volta fatto ciò avremo finalmente la riforma costituzionale vanamente inseguita per un quarto di secolo. Avremo un nuovo ordinamento caratterizzato da un premier forte, dalla fine del bicameralismo perfetto (due Camere con uguali poteri, causa di tante inefficienze), una drastica riduzione del numero dei parlamentari e una correzione abbastanza ragionevole (per lo più, in senso centralista) della pessima devolution (la riforma del titolo V) voluta dal centrosinistra nel 2001.
Immaginiamo ora che cosa accadrebbe se prevalesse il no. Accadrebbe che la Costituzione tornerebbe ad essere immodificabile per parecchi decenni a venire. È il vero punto debole del manifesto dei «riformatori per il no», lanciato da due costituzionalisti di cui chi scrive ha grande stima, Augusto Barbera e Stefano Ceccanti. Molte idee contenute nel manifesto, sia sui gravi difetti della Costituzione vigente sia su quelli del testo varato dal centrodestra, sono, almeno per chi scrive, condivisibili. Ciò che non è condivisibile è la conclusione, la tesi secondo cui, in caso di vittoria del no, ci sarebbe ancora lo spazio per riprendere a breve termine la strada della riforma costituzionale. Non è così. Per almeno tre ragioni. In primoluogo, perché, come dimostrano gli argomenti usati dai promotori del referendum, è tuttora molto forte in questo Paese l'area dei conservatori costituzionali ad oltranza, persone che (legittimamente) ritengono la Costituzione vigente la migliore delle Costituzioni possibili e che, per difenderla, non hanno neppure esitato a rispolverare l'ideologia resistenziale (sembra, ad esempio, che per costoro il premierato sia una specie di tradimento dei valori resistenziali, l'apertura delle porte al fascismo, eccetera).
In caso di vittoria del no, essi si appellerebbero legittimamente al responso degli italiani per bloccare ogni nuova ipotesi di riforma. La seconda ragione è che nella maggioranza di centrosinistra ci sono molti gruppi contrarissimi al premierato e questi gruppi farebbero valere il ruolo che svolgono ai fini della stabilità del governo per bloccare nuovi tentativi di riforma. Da ultimo, non sarebbe più possibile né togliere al Senato il potere di conferire la fiducia al governo né ridurre il numero dei parlamentari. I senatori, e i parlamentari in genere, lo impedirebbero. Se queste misure sono passate con la riforma del centrodestra ciò è accaduto per una specie di miracolo, probabilmente perché molti parlamentari del centrodestra non credevano in cuor loro che la riforma sarebbe davvero andata in porto. È difficile che imiracoli si ripetano due volte.
Due parole, infine, sulla devolution. Premesso che chi scrive trova comunque insoddisfacente qualunque intervento in questo campo che eluda gli aspetti fiscali, resta che, se si confrontano i due testi, il titolo V riformato dal centrosinistra oggi in vigore e il testo della riforma, si scopre che la devolution 1 (la riforma del centrosinistra) è assai più confusa e pasticciata della devolution 2 (quella del centrodestra). Quest'ultima, per lo meno, definisce meglio le competenze esclusive delle Regioni e ricentralizza (reintroducendo il principio dell'interesse nazionale) materie che, insensatamente, il centrosinistra aveva attribuito alla competenza congiunta di Regioni e Stato. Per queste ragioni, chi scrive voterà
Alessandro a gaugamela
00martedì 6 giugno 2006 15:42
votero si e spero che inseguito anche a livello di entrate sia decentrato alle regioni!
Lux-86
00mercoledì 7 giugno 2006 10:22
ma quando è nata la figura del nazionalista-federalista? [SM=x751534]
Riccardo.cuordileone
00mercoledì 7 giugno 2006 11:57
Di federale purtroppo c'è ben poco, anzi in certi campi molti poteri ritornano allo stato centrale, la cosa più importante a mio avviso è votare si per eliminare il bicameralismo e per rafforzare i poteri del premier, dopo sessantanni è arrivato il momento di cambiare la costituzione ormai obsoleta e in certi casi inutile, poichè nata esclusivamente con una funzione antifascista e di conseguenza antiriformatrice, bisogna invece diminuire i tempi di approvazione delle leggi e la varia burocrazia che rende il paese ingovernabile.
Arvedui
00lunedì 19 giugno 2006 18:03
EDIT di une mese dopo al mio messaggio [SM=x751527]
Volevo dire che probabilmente voterò NO. Ho fatto confusione col referendum confermativo/abrogativo [SM=x751555] [SM=x751608]
=Mimmoxl=
00lunedì 19 giugno 2006 18:05
Se esiste un Dio mi fulmini se voterò SI... [SM=x751586]
-Giona-
00lunedì 19 giugno 2006 18:15
Re:

Scritto da: Arvedui 19/06/2006 18.03
EDIT di une mese dopo al mio messaggio [SM=x751527]
Volevo dire che probabilmente voterò NO. Ho fatto confusione col referendum confermativo/abrogativo [SM=x751555] [SM=x751608]


Arvedui, mi sei scaduto... [SM=x751570] Kaname-chan è ora la mia ultima speranza. [SM=x751600]
(sto scherzando, eh... [SM=x751526] )
Pertinax
00lunedì 19 giugno 2006 18:17
giona spetto sempre una risposta sulla questione nuove tasse a valanga se vince il SI [SM=x751525]
-Giona-
00lunedì 19 giugno 2006 18:28
Re:

Scritto da: Pertinax 19/06/2006 18.17
giona spetto sempre una risposta sulla questione nuove tasse a valanga se vince il SI [SM=x751525]


Mi pare di aver già risposto qui
Pertinax
00lunedì 19 giugno 2006 18:36
quindi lasci senza risposta la mia critica?

e tutti gli altri no tax, anti tax, evasori e quant altro dove sono??? [SM=x751605]
smea37gollum
00lunedì 19 giugno 2006 20:45
vediamo se lo riuscite a capire dal mio banner... [SM=x751525] [SM=x751573] [SM=x751590] OVVIAMENTE NO!!!!!!!!!!!!!!!

[Modificato da smea37gollum 19/06/2006 20.46]

-Giona-
00martedì 20 giugno 2006 11:40
Dall'archivio della rivista "Il federalismo":
www.ilfederalismo.net/0/14_pag/14_pag_att_01.asp?cod=2530&n=2004100434&art=3-150-0-7370049953497469&sd=...

Federalismo, i Pinocchioni del “costa troppo”

Il 3 settembre il Corriere della Sera ha pubblicato un articolo di Giovanni Sartori intitolato “Quanto costa rifare l’Italia. Calderoli e i miliardi della Devolution”. Da allora è stato un tripudio di studi e dichiarazioni sul costo del Federalismo. Ecco qualche titolo: “I taciti costi delle riforme”, “Federalismo. I conti inesistenti”, “Ma il Federalismo non si fa a costo zero”, “Quelle duplicazioni che costano fino a 93 miliardi”, “Le allegre cicale”, eccetera eccetera fino all’ormai leggendario “La Devolution costa come la guerra in Iraq” (L’Unità di giovedì 23 settembre).
Per capire la situazione penso che possano essere utili queste tre considerazioni.
Primo: una legge non può far aumentare il numero dei malati. Se oggi lo Stato centrale per svolgere un certo compito spende 100 euro e domani quel compito viene trasferito alle Regioni, la somma degli euro spesi complessivamente da tutte le regioni sarà, più o meno, sempre di circa 100 euro. Questa ovvia considerazione è ben descritta sul Sole 24 Ore del 16 settembre in un articolo di Barbara Fiammeri che finisce con questa dichiarazione di Giuseppe Vitaletti, il presidente della Alta Commissione di studio per la definizione dei meccanismi strutturali del Federalismo fiscale : «Quello che è assolutamente inaccettabile è continuare a parlare del Federalismo in termini di costi sparando cifre che tra l’altro non sono che l’attuale spesa per l’esercizio di funzioni pubbliche che oggi fanno capo allo Stato e domani saranno di Regioni ma il cui totale non cambia». È un ragionamento assolutamente corretto. Pensate per esempio alla sanità. La gran parte del costo della sanità pubblica è determinato dal numero delle persone che hanno bisogno di cure. Facciamo un esempio. Supponiamo che la media delle persone che hanno fatto ricorso ai servizi della sanità pubblica negli ultimi anni sia stata costantemente di circa venti milioni di persone all’anno. Non credo sia ragionevole pensare che i venti milioni di persone che fanno ricorso alla sanità pubblica in un anno possano, di colpo, aumentare del 50% o del 100% e diventare trenta o quaranta milioni solo perché il Parlamento approva una legge che trasferisce certi compiti e responsabilità dallo Stato centrale alle Regioni. Le persone che avranno bisogno della sanità pubblica, per continuare con questo esempio, sarà sempre di circa venti milioni, poco più o poco meno. Dunque, durante i primi anni il costo sarà sostanzialmente uguale. Poi, se ci sarà Federalismo fiscale, il costo complessivo comincerà a diminuire in modo significativo per effetto della maggiore responsabilizzazione delle Regioni e del maggior controllo da parte dei cittadini che un sistema di Federalismo fiscale comporterebbe automaticamente. Ci potrà anche essere, ma per importi minori e non significativi, qualche problema per le Regioni che non hanno il personale per svolgere i nuovi compiti. Questo è il problema dei “doppioni”. Vediamo di cosa si tratta.
Secondo: i cosiddetti “doppioni”. Leggiamo una parte dell’articolo di Sabino Cassese intitolato “Le allegre cicale” (Corriere della Sera del 16 settembre). «Se si vogliono evitare doppioni, occorre agire sulla mobilità del personale, trasferendo dipendenti alle Regioni cui vengono attribuite le funzioni. Ma questa è una operazione difficile, di cui il governo si è dimostrato incapace. Basta ricordare che in Piemonte, Veneto, Lombardia, Emilia Romagna, Friuli, negli uffici statali vi sono vuoti di organico del 60 per cento mentre, all’opposto, in Campania, Calabria e Sicilia vi sono eccedenze di organico del 70 per cento. Nonostante questa situazione il 98 per cento della mobilità è avvenuta, in questi anni, su richiesta dei dipendenti o sulla esclusiva base delle loro preferenze, senza che venissero stabiliti incentivi per avere una più razionale distribuzione del personale».
Questo dimostra in modo chiaro e lampante che è più che mai necessario togliere compiti, responsabilità e risorse finanziarie allo Stato centrale, che oggi paga senza nessun controllo le eccedenze di personale di alcune Regioni. Col federalismo fiscale ci sarebbe più responsabilità e le Regioni che vorranno avere più dipendenti del necessario se li dovranno pagare loro, alzando le tasse locali o tagliando i servizi ai loro cittadini. Gli elettori potrebbero fare i confronti con le Regioni vicine e se ne ricorderebbero al momento del voto. Oggi questi controlli da parte dei cittadini sono impossibili e questo favorisce comportamenti irrazionali. Dunque uno degli effetti di una organizzazione della Repubblica più decentrata o federale sarà sicuramente un maggior controllo da parte dei cittadini e, di conseguenza, il miglioramento della qualità degli “addetti ai lavori” della politica ed una gestione molto più razionale di tutti gli enti pubblici.
Terzo: il costo del Federalismo. Adesso, per concludere, leggiamo assieme una piccola parte dell’articolo di Giovanni Sartori citato all’inizio “Quanto costa rifare l’Italia. Calderoli e i miliardi della Devolution”. Il testo è questo : «... ho avuto un soprassalto e mi sono precipitato a guardare lo studio Isae. Nel quale si legge che il Federalismo avviato da noi nel 1997 ha comportato un aggravio per i conti dello Stato di almeno 61 miliardi di Euro».
Veramente molto interessante: leggendo questo articolo ho “imparato” che nel nostro Paese nell’anno 1997 è stato avviato il Federalismo. Che vergogna: noi della Lega non c’è n’eravamo proprio accorti e meno male che Sartori ci ha avvisati. Scherzi a parte, il Federalismo non è cominciato né nel 1997 né oggi. Eppure questo «Federalismo che non c’è» secondo il prof. Sartori ci è già costato 61 miliardi. Mi piacerebbe molto sapere come fanno a fare questi conti il prof. Sartori e la signora Luana Benini, la straordinaria autrice dell’articolo dell’Unità “La Devolution costa come la guerra in Iraq”. Forse farebbero meglio ad addebitare questi, ed altri costi, alle due piaghe del nostro Paese, lo statalismo e l’assistenzialismo. E a non confonderli con il Federalismo, che tutti noi della Lega Nord vogliamo ma che, malgrado quello che dice il prof. Sartori ancora non c’è.
Prima di finire voglio dire due cose sull’Isae, dato che il prof. Sartori ha scritto che in un suo studio si legge che il Federalismo avviato in Italia nel 1997 ha comportato un «aggravio per i conti dello Stato di almeno 61 miliardi di euro».
Primo: Isae significa Istituto di studi e analisi economica. È un centro studi che conosco abbastanza bene. Nel 1994 il ministero del bilancio “possedeva” due centri studi. Quando ero ministro li ho fusi, così abbiamo risparmiato un po’ di quattrini. L’Isae è nato così.
Secondo: su quei «maggiori costi di almeno 61 miliardi di euro» citati dal prof. Sartori il presidente dell’Isae, con il comunicato stampa che vedete qui a sinistra, ha detto che «... i 61 miliardi di euro spesso citati come una stima dei costi del Federalismo sono invece un tentativo di misurazione delle funzioni oggi gestite dallo Stato e che in futuro, sulla base delle modifiche costituzionali intercorse nella scorsa legislatura, dovrebbero passare alle amministrazioni di Regioni, Province e Comuni».
Non penso di dover aggiungere alcun commento, perché sarebbe impietoso. Però voglio sottolineare che questa “gaffe” grande come una casa non è un caso isolato. Anzi, questa è la regola del nostro Paese. Me ne ero accorto qualche anno fa, quando il “sistema” si era rifiutato di discutere i vantaggi che tutti i cittadini italiani (esclusi detentori del potere, burocrati, dipendenti del “Dio Stato” e i tanti sfruttatori) avrebbero avuto dalla “separazione consensuale” delle regioni del Nord dal Mezzogiorno in modo da poter posticipare l’adesione del Mezzogiorno alla moneta unica (euro). Noi avremmo potuto fare i necessari investimenti in ricerca, nuove tecnologie e sviluppo e il Sud avrebbe avuto tutti i vantaggi di una svalutazione competitiva. Invece non si è voluto nemmeno discutere i pro e i contro di questa proposta, si sono creati fantasmi e paure molto più grossi e molto più irreali di quelli inventati sui costi del Federalismo dal prof. Sartori (e per la verità anche da Confindustria) e adesso ci troviamo tutti ingessati, più poveri e meno competitivi in un mondo che corre.
Giancarlo Pagliarini
(Ministro del Bilancio nel governo Berlusconi I)

[Modificato da -Giona- 20/06/2006 11.41]

Pertinax
00martedì 20 giugno 2006 12:27
quello che ho postato io nell'altra discussione è dell'ISAE, organo ufficiale del ministero dell'economia che stilo quel rapporto quando il ministero era di tremonti [SM=x751530] , lo stesso tremonti che in questo articolo 1 fa lo gnorri, 2 esalta la creazione dell'Isae, 3 incentra la discussione non sulle stime ma sulla presunta fallacita delle stesse.

ora dieri che c'è qualcosa che non va: l'Isae è un ottimo strumento? quindi le previsioni dell'Isae sono corrette e dignitose? è proprio paperino, inconfondibile [SM=x751525]

www.isae.it/bpg/default.asp

EDIT

ho sbagliato! chiedo venia ho confuso i governi... questo è pagliarini, buon economista certamente molto più che paperino

[Modificato da Pertinax 20/06/2006 13.48]

Breznev
00martedì 20 giugno 2006 13:42
NO


Via questa insulsaggine!!!! [SM=x751546]


[Modificato da Breznev 20/06/2006 13.43]

-Kaname-chan
00martedì 20 giugno 2006 23:45
Voto si, che sia la volta buona per avere un paese normale dopo 150 anni? [SM=x751545]

SILVIO PATER PATRIAE [SM=x751605]
=Mimmoxl=
00mercoledì 21 giugno 2006 09:06
Re:

Scritto da: Riccardo.cuordileone 07/06/2006 11.57
Di federale purtroppo c'è ben poco, anzi in certi campi molti poteri ritornano allo stato centrale, la cosa più importante a mio avviso è votare si per eliminare il bicameralismo e per rafforzare i poteri del premier, dopo sessantanni è arrivato il momento di cambiare la costituzione ormai obsoleta e in certi casi inutile,poichè nata esclusivamente con una funzione antifascista e di conseguenza antiriformatrice, bisogna invece diminuire i tempi di approvazione delle leggi e la varia burocrazia che rende il paese ingovernabile.



Cosa significa questa frase? Sinceramente non capisco il nesso...
Pertinax
00mercoledì 21 giugno 2006 09:11
la nostra costituzione è tra le migliori, certamente la più DEMOCRATICA di quelle dell'europa occidentale. molti paesi l'hanno presa a modello se non copiata, come la spagna per ultima. obsoleta? no, antifascista? si.

coninuo a pensare una cosa a cui ne federica ne altri hanno risposto: il paese è ingovernabile a causa della clase politica canuta e oligarchica, pensate che una semplice riforma sulla carta rivoluzioni ipso facto la situazione?
Lux-86
00mercoledì 21 giugno 2006 10:10
ma per favore... solo l'abbassamento dei numeri dei parlamentari prenderà avvio nel 2016 (il che sarebbe già meglio di niente, comunque).
l'unica cosa che bisognerebbe cambiare della costituzione attuale è il bicameralismo perfetto.
poi bisognerebvbe fare una vera lege elettorale.
la devolution è una riforma modellata su una monarchia costituzionale, ma noi non eravamo mica una republica?
-Giona-
00mercoledì 21 giugno 2006 11:32
Re:

Scritto da: Lux-86 21/06/2006 10.10
la devolution è una riforma modellata su una monarchia costituzionale, ma noi non eravamo mica una republica?


L'ha detto Epifani ieri sera a "Ballarò", citando che solo nelle monarchie costituzionali il capo dello stato non ha il potere di sciogliere il Parlamento. Dimenticava però che in Germania quel potere ce l'ha il cancelliere, non il presidente della repubblica federale. [SM=x751582]
Lux-86
00mercoledì 21 giugno 2006 11:48
Re: Re:

Scritto da: -Giona- 21/06/2006 11.32

L'ha detto Epifani ieri sera a "Ballarò", citando che solo nelle monarchie costituzionali il capo dello stato non ha il potere di sciogliere il Parlamento. Dimenticava però che in Germania quel potere ce l'ha il cancelliere, non il presidente della repubblica federale. [SM=x751582]



grande puntata quella di ieri sera [SM=x751538]
fassino e calderoli mi stavano facendo morire [SM=x751525]

comunque in germania il cancelliere scioglie le camere, ma, per fare un esempio, non è responsabile di quello che fanno i ministri. questo ha permesso la coalizione d'unità nazionale.

nella devolution il premier è un asso pigliatutto
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