Morte a Mellonath

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TheSlayer78
00mercoledì 27 febbraio 2008 16:51
Aveva, ormai, l’assoluta certezza di essere braccato. Poteva quasi scorgere il cerchio che lentamente si stringeva intorno a lui e si era reso conto che sarebbero arrivati a lui molto più presto di quanto avesse previsto. Non l’avrebbero risparmiato, come era successo ad altri. Non avrebbero potuto permettere che se ne andasse in giro con tutto quello che sapeva (ma, in realtà, sapeva davvero qualcosa? Sospettava, forse, ma sapere...) Notizie sempre più atroci gli giungevano: compagnie di viandanti assaltate e derubate; mercanti impauriti che viaggiavano in gruppi sempre più numerosi; omicidi sospetti; botteghe bruciate misteriosamente. Prima si trattava di voci lontane, dai confini del regno. Poi, si erano fatte sempre più vicine.
Era entrato in possesso di uno strano oggetto e, da quel momento, le dicerie e le voci sui furti e le aggressioni , per non parlare degli omicidi, si erano fatte sempre più insistenti. E sempre più vicine a dove lui si trovava. Si era decisamente preoccupato, poi, quando erano stati rafforzati la sorveglianza e i controlli sulle vie per maggiore sicurezza, il che stava a significare che le voci erano qualcosa di più…
Possibile che il bersaglio fosse proprio lui? Che cosa volevano da lui? Quell'oggetto? Possibile? Non poteva saperlo se non ne avesse saputo di più su di esso. Alzò gli occhi dal frammento di una vecchia e ingiallita pergamena. Un sole e una croce dal braccio spezzato era tutto ciò che vi si poteva leggere. Sapeva solo che quel fogliettino logoro e mangiucchiato avvolgeva l’oggetto quando ne era entrato in possesso. Pensava che il frammento di pergamena avesse un qualche valore (residuo di un testo antico, ci si può fare una fortuna con queste cose, magari con qualche collezionista interessato), ma non capiva né cosa potessero significare quei simboli, né tantomeno cosa fosse l’oggetto. Possibile che fosse proprio quello ciò che da tempo e senza successo stava cercando? True lo avrebbe aiutato di sicuro a sbrogliare la complicata matassa che si stava sempre più inesorabilmente ingarbugliando: si sarebbero a breve incontrati, proprio lì a Mellonath. Per ogni evenienza, aveva ricopiato i simboli scritti sulla pergamena su un pezzo di stoffa a portata di mano e l’aveva riposto nella tasca della giubba buona, quella che avrebbe indossato l’indomani. Ripose, poi, l’oggetto e la pergamena in una scatola e, poi, dentro un sacchetto da appendere alla cintura.
Mellonath era, ormai, avvolta nell’oscurità. La sera era scesa e i pochi rumori della città si erano completamente acquietati. La luna nel cielo era indecisa se venir fuori dalle nuvole in cui si imbatteva o restare nascosta dietro una di esse. Non era, in fondo, una brutta serata. Città tranquilla, Mellonath: pochi ci venivano e nessuno la conosceva. Inoltre era una città di elfi e in una città di elfi non avvenivano mai aggressioni, omicidi o atti di violenza. La morte violenta era un tabù che qui resisteva ancora. Per ulteriore sicurezza, non si sarebbe mosso dalla stanza della locanda in cui era alloggiato, nemmeno per scendere a mangiare qualcosa. Aveva lo stomaco chiuso dalla tensione e pensava che anche andare a dormire non sarebbe stata un’impresa semplice.
Il silenzio era totale, troppo, perfino per una città di elfi. L’atmosfera gli iniziava a sembrare innaturale: ora che ci rifletteva, si rendeva conto che non uno schiamazzo perveniva dalla sala comune e nessun altro ospite si era recato nelle proprie stanze per la notte. L’ora di cena era, in effetti, passata da un po’ e probabilmente gli ospiti erano talmente pochi da non causare eccessivo schiamazzo. Ma qualcosa non tornava anche se egli cercava, a tutti i costi, di fare finta di nulla.
Si costrinse ad aprire piano la porta e a scrutare nel corridoio vuoto. Pur essendo ormai notte, nessuno aveva acceso le lanterne per illuminare il corridoio e le scale. Scese lentamente le scale, un gradino alla volta, appoggiando la mano alla parete per orientarsi e non cadere. C’era un forte odore metallico nell’aria, ma non ebbe il tempo di pensarci troppo. Si rese, infatti, conto che anche la grande sala comune e l’area riservata all’ingresso e all’accoglienza degli ospiti erano sprofondate nel buio più totale, fatta eccezione per le sporadiche apparizioni delle luce lunare, il cui riflesso penetrava a stento dalle finestre.
Un rivolo ghiacciato di sudore gli scivolò imperterrito lungo la schiena. Nessuno in giro e buio pesto. Possibile che avessero chiuso tutto e si fossero dimenticati che avevano un unico ospite per quella notte?
Mentre si guardava intorno confuso e preoccupato, vide che su alcuni tavoli della sala comune c’era qualcosa. Non riusciva a vedere bene perché il buio era troppo, ma sembrava che qualcuno si fosse addormentato, accasciandosi sul proprio tavolo. Si avvicinò, contento all’idea di svegliarli tutti con una pacca sulla spalla e di scherzare con loro sul fatto che forse avevano alzato un po’ troppo il gomito, quando il bagliore della luce lunare illuminò d’improvviso il manico metallico di un pugnale che spuntava dalla nuca di un uomo. Arretrò di colpo e vide che, sulla sedia vicina, un altro uomo giaceva appoggiato innaturalmente allo schienale con la testa ritorta sulle spalle e il collo sicuramente spezzato. Corse via con il cuore in gola e vide l’oste riverso per terra, la faccia immersa in un liquame scuro fuoriuscito dal suo cranio orribilmente fracassato. Di fronte a lui, la cuoca era inchiodata alla parete da uno spiedo che l’aveva infilzata e, nella cucina, s’intravedevano le sagome delle cameriere, tutte, probabilmente, sgozzate come delle galline. Allucinato e incapace di pensare, non ebbe il tempo di percepire il movimento furtivo alle sue spalle e la lama gelida che gli squarciava il collo con un unico, lento e preciso gesto.
Mai avrebbe saputo perché lo avevano ucciso.
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