Linea di Sangue - di Faraci e Diso

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Fog
00mercoledì 23 novembre 2011 14:56
Tito Faraci è un autore accompagnato da una robusta fama e discreto seguito di lettori, un patrimonio costruito collezionando successi e vendite presso le principali case editrici italiane del settore (Disney, Panini, Bonelli, Astorina).
Vendite e recensioni parlano tutte in suo favore, e criticarne l'opera sembrerebbe essere niente più dell'ennesima spacconata che la libertà e lo spazio offerti dal web regalano a chiunque abbia davanti a sé una tastiera e la pretesa di essere l'unico super-competente (o, al più, uno dei pochi).

Eppure, almeno limitatamente a quel che di lui ho potuto leggere -molto, ma NON TUTTO- continuo a faticare nel comprendere le ragioni di tanto successo. A Faraci non mancano certo né idee né padronanza dei mezzi tecnici propri dello sceneggiatore di grido, conosce i personaggi che mette in scena anche se non li ha creati lui e mostra spesso una cura quasi filologica nel rispettarne alcuni caratteri.
Quel che però continua a non convincere -o, almeno, a non convincere me- è la scrittura fredda e poco coinvolgente sul piano emotivo, lo "scolasticismo" (mi si passi il termine) dello stile e delle trame, la meccanicità degli schemi narrativi -quasi sempre riassumibili secondo una lunga serie di cliché, per quanto ben assemblati- e la quasi totale incapacità di sorprendere (ho detto sorprendere, non SPIAZZARE). Dovendo fare un esempio, mi verrebbe da dire che un suo racconto è come un mobile dell'IKEA, componibile in otto modi diversi tutti utili e funzionali allo spazio di cui si dispone, ma assolutamente privi del fascino e della bellezza di un mobile artigianale, magari imperfetto ma non per questo meno bello. Tutt’altro.

Ecco, Linea di sangue è la conferma di quanto ho detto: trama ben congegnata, uso disinvolto del montaggio alternato, situazioni stimolanti quando non stuzzicanti. Malgrado ciò, una volta esaurito l’abbrivio iniziale, il racconto sembra insterilirsi, smarrire originalità -non che ve ne fosse troppa, a dirla tutta- e coraggio e si appiattisce su fiacchi stereotipi propri delle storie di guerra (ma anche delle storie di mafia): il giovane idealista al fronte per cercare riscatto, la fidanzatina a casa con le sue letterine strappalacrime, gli screzi con i commilitoni gretti e razzisti, la paura e l’eroismo, ma anche il delinquente crudele, ottuso, dalla visione patriarcale della famiglia, la guerra di mafia, il fratello scemo, il dilemma doloroso tra fedeltà ad un "amico" e salvezza di un congiunto, l’accettazione finale del proprio "destino criminale". Il problema non è però -non del tutto, almeno- in questi topoi, utilizzati più che degnamente dentro tante opere che hanno fatto storia, quanto nel fatto che, alla resa dei conti, il loro accatastarsi partorisce un topolino: una storia di guerra che però "storia di guerra" non è, in quanto del tutto priva di quell’afflato epico, tragico, corale proprio di tale genere narrativo (la guerra mondiale è a mala pena una cornice sfocata, le condizioni di vita impossibili dei soldati una citazione anodina di condizioni meteorologiche ostili) così come mancano le contraddizioni morali, i paradossi quasi antropologici, il dolore decadente e corrotto delle storie di mafia (la guerra tra clan pare un dato di fatto e nulla più, frasi e gesti dei malviventi collocati in uno strana terra di nessuno, a metà strada tra The Goodfellas e un film qualsiasi con Van Damme, il "cambio di casacca" del protagonista un gesto al tempo stesso telefonato e inspiegabile oltre che una citazione superficiale dell’inesorabile gorgo di dannazione che inghiottirà Michael Corleone).

A mio avviso Faraci è ad oggi adattissimo a storie di puro meccanismo quali ad esempio le avventure di Diabolik mentre, ad onta degli onori tributati e dei successi raccolti, ritengo gli manchi [ancora] la capacità di creare legami empatici tra i suoi fumetti ed il pubblico dei lettori.

Questione disegni: Diso è sempre grande, capace di reggere da quel gigante qual è oltre 250 tavole (anche se nelle ultime la qualità mi è parsa in calo) alla veneranda età di 79 anni. Il solo, vero difetto di questo grande autore, andatosi accentuando con il passare del tempo, è la difficoltà a creare fisionomie diverse tra di loro ragion per cui, complice la divisa, in molte vignette si fa fatica a comprendere subito chi sia il soggetto.
rimatt1
00mercoledì 23 novembre 2011 15:23
Ecco, direi che sono d'accordo su tutto. Faraci è tecnicamente bravissimo, riesce a dosare i tempi della sceneggiatura con un'abilità che rasenta la perfezione, è talmente fluido e leggibile da rendere difficile metter giù l'albo che si ha tra le mani, una volta che lo si è iniziato... Però tendo a dimenticare le sue storie cinque minuti dopo averle terminate (di Linea di sangue mi ricordo giusto le somiglianze con Il padrino). Non so neanch'io se il suo problema stia più nella difficoltà di creare trame/soggetti realmente validi (ne ricordo pochini, limitatamente alla sua produzione Bonelli) o nell'incapacità di svilupparli in modo più coinvolgente e appassionante, ma di fatto le sue storie mi hanno lasciato - tutte - sostanzialmente freddo, quando non addirittura infastidito (alcuni Dylan Dog gridano vendetta).
Sashimi
00giovedì 24 novembre 2011 23:11
Concordo con Fog per la parte faracesca, anche se rivaluterei il finale: per quanto davvero tagliato con l'accetta e ben poco giustificato, mi ha colpito in positivo per la sua amarezza e cattiveria - elementi che per un bonellide medio sono davvero rara avis. Per il resto, buona l'idea di base e l'impianto complessivo, piatto e senza guizzi lo svolgimento: una sufficienza per un prodotto professionale, ne' piu', ne' meno.

Sono molto piu' negativo invece su Diso, anche se mi spiace: in realta' di lui ho letto ben poco (ricordo un remotissimo Rudy-X su testi di... Rinaldo Traini [SM=x74934] ) ma di primo acchito non ho potuto non notare le anatomie confuse, le scene di battaglia poco leggibili, i volti espressivi solo a tratti e solo in alcune vignette. Anche altrove mi hanno giustamente fatto notare l'eta' - io mentalmente gli davo vent'anni in meno, forse perche' lo collocavo tra i venti e trenta all'esordio su Mister No; e invece ne aveva gia' 43. Massimo rispetto per lui, tuttavia la parte grafica non mi ha soddisfatto.

Sashimi


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