L'Imitazione di Cristo

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Discipula
00lunedì 27 febbraio 2006 09:18
Nell’estate del 1984 l’allora Cardinale Ratzinger, durante i colloqui con Vittorio Messori che avrebbero poi dato vita l’anno successivo al celeberrimo “Rapporto sulla Fede”, invitava i fedeli a riscoprire, accanto ai documenti ecclesiastici più recenti, anche “L’Imitazione di Cristo”, un testo che, pur rispecchiando la grande tradizione monastica medievale, ha ancora molto da insegnare, e proprio all’uomo di oggi, per il recupero di una spiritualità antica e nuova al tempo stesso.

"L’imitazione di Cristo – chiedeva Vittorio Messori – è ancora tra le cose buone?”

Questa la risposta del Cardinale Ratzinger:

“Anzi, tra gli obiettivi più urgenti del cattolico moderno c’è proprio il recupero di elementi positivi di una spiritualità come quella, con la sua consapevolezza del distacco qualitativo tra mentalità di fede e mentalità mondana. Certo, nella Imitazione, c’è un’accentuazione unilaterale della relazione privata del cristiano con il suo Signore. Ma in troppa produzione teologica contemporanea c’è una comprensione insufficiente dell’interiorità spirituale. Condannando il blocco e senza appello la fuga saeculi che è al centro della spiritualità classica, non si è capito che c’era in quella fuga anche un aspetto sociale. Si fuggiva dal mondo non per abbandonarlo a se stesso, ma per ricreare in luoghi dello spirito una nuova possibilità di vita cristiana e, dunque, umana. Si prendeva atto dell’alienazione della società e – nell’eremo o nel monastero – si ricostruivano delle oasi vivibili, delle speranze di salvezza per tutti. (…)
Il problema è ancora una volta quello di un equilibrio da ritrovare. (…) il credente è tenuto a vivere il non facile equilibrio tra giusta incarnazione nella storia e indispensabile tensione verso l’eternità"
.


E allora vediamo di imparare a conoscere anche “L’Imitazione di Cristo”, a leggere questa opera non come un reperto archeologico, ma come una testo che può dirci ancora tante cose, perché – sono sempre parole dell’allora Cardinale Ratzinger - il Concilio Vaticano II non ha affatto “voluto togliere le cose buone ai buoni”.

L'opera rivela chiaramente la sua origine monastica, anzi benedettina; la sua profonda ispirazione ascetica la fa essere opera universalmente cristiana. Contiene - in stile incisivo e lapidario - precetti per una intensa vita interiore (libri I-II), che meglio si chiarisce come vita di grazia (Libro III), alimentata dalla consuetudine eucaristica (libro IV). L'autore non risente influssi di particolari scuole mistiche o teologiche, ma rivela una profonda conoscenza del cuore umano e soprattutto un'intensa esperienza religiosa che si edifica nella mortificazione, si completa nella pratica quotidiana delle virtù cristiane e culmina nell'unione con Cristo in uno slancio d'amore. L'universalità e l'impersonalità di questo grande libro di vita spirituale ha reso estremamente complesso - anzi, secondo alcuni critici insolubile - il problema dell'identificazione del suo autore; sicché si è potuto attribuire, senza argomenti definitivi, a Gersone di Vercelli (detto anche Gersenio Giovanni da Cavaglià, benedettino, abate di Vercelli) o a Jehan de Gerson di Parigi (Teologo e filosofo - Gerson, Champagne, 1363 - Lione 1429), o a Tommaso da Kempis (Scrittore ascetico, canonico agostiniano - Kempen, Colonia, 1380 ca. - Agnietenberg 1471), o all'ambiente della devotio moderna (Nome dato a un movimento di spiritualità mistica sorto nei Paesi Bassi nella seconda metà del sec. XIII° e sviluppatosi nella Germania occidentale e in altri paesi cattolici fino al XVI° sec.), per non ricordare che le più discusse attribuzioni. L'opera non sembra comunque anteriore al sec 15°. (Estratto da: Lessico Universale Treccani)

Questo piccolo libro ha costituito per secoli un preciso punti di riferimento per la spiritualità cristiana, tanto che si può considerare "il libro più letto dopo il Vangelo, meditato nei monasteri, letto nella vita religiosa e sacerdotale, tenuto come manuale di formazione cristiana robusta per tante generazioni di laici, di cristiani nel mondo" (Enzo Bianchi, Priore della Comunità di Bose).

Scritta originariamente in latino, l'Imitazione risulta oggi composta di quattro libri:

I. Admonitiones ad spiritualem vitam utiles
II. Admonitiones ad interna trahentes
III. De interna consolatione
IV. De Sacramento Altaris



E' fra i libri più diffusi nel mondo (si contano più di 3000 edizioni). Il manoscritto fu pubblicato anonimo nel 1418, mentre la prima edizione a stampa fu probabilmente quella di Augusta (1472); la prima in italiano fu stampata a Venezia nel 1483 a cura di P. Loslein.

Possiamo leggere a questo link il testo integrale dell' Imitazione di Cristo


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[Modificato da Discipula 27/02/2006 9.30]

rosa22253
00lunedì 27 febbraio 2006 23:34
Grazie Discipula [SM=g27811]
TERESA BENEDETTA
00martedì 28 febbraio 2006 00:16
GRAZIE, DISCIPULA!
CHE BEL REGALO PER LA QUARESIMA! Da ragazzina di 13 anni, l'ho ricevuto per Natale un'edizione inglese da una mia zia, ma non ho potuto rileggerlo da oltre tre decenni, e il 'missaletto' sta nella mia casa a Manila, non qui a New York. Percio, mi piacerebbe leggerlo adesso in italiano!
Discipula
00lunedì 20 marzo 2006 17:46
Dal blog di Gabriella
Questa riflessione di Papa Ratzinger sull'Imitazione di Cristo risale al 1973 ed è tratta da un sottocapitolo della parte cristologica di "Dogma e Predicazione" (1974): Gabriella, autrice del bellissimo blog www.incamminoverso.leonardo.it/blog, dedicato al nostro amatissimo Papa, l'ha inserita proprio oggi nella sua pagina e ora mi ha permesso di trascriverla anche qui (grazie [SM=x40794] ).

Testo (da pagina 120 del libro del 74)


"Il più noto libro di edificazione della cristianità, il libro più diffuso in essa dopo la Bibbia, porta il titolo di Imitazione di Cristo. Nel frattempo questo libro è stato soppiantato da altri best-sellers ed anche il cristiano, che oggi lo legge, ammetterà che esso non può dare un'immagine completa del compito cristiano, perché rispecchia con troppa ingenuità lo spirito di un'epoca scossa dalla paura del mondo. Però lo Spirito dell'interiorità, della modestia e del silenzio, che lo pervade, può colpirci ancora molto in questo secolo dalla malattia manageriale e di tutta l'irrequietezza da essa portata.
Qualunque sia l'esito della discussione sul celebre e controverso libro del tardo medioevo, rimane e si deve riproporre l'interrogativo sul vero significato di imitazione di Cristo.
Anzitutto, tale imitazione è ancora una possibilità esistente, reale per l'uomo d'oggi? O magari essa è addirittura la possibilità di essere e di diventare uomo? Il cristiano allora non soltanto potrebbe sostenere, con uno sforzo concorde, che si può, ed anche oggi continua ad aver senso, vivere da cristiani, ma al contrario, sarebbe in grado di offrire la decisiva possibilità di essere uomo, nella quale sola appare ciò a cui è veramente destinato questo problematico essere uomo.


Ritorniamo alla nostra questione sul significato della imitazione di Cristo. In origine questa parola aveva un senso molto semplice e per nulla teoretico. Essa suggeriva - in parole povere - che degli uomini si decidevano ad abbandonare la loro professione, il loro lavoro, la loro giornata normale, vissuta fin'allora, ed al posto di questo andavano con Gesù. Essa indica dunque una nuova professione, quella del discepolo, il cui contenuto vitale consiste nell'andare insieme al maestro, nel completo afffidare-se-stesso alla sua guida. Imitazione è così qualcosa di molto esteriore e qualcosa di molto interiore nello stesso tempo. L'elemento esteriore consiste nel reale avanzare dietro Gesù nei suoi viaggi attraverso la Palestina; quello interiore è il nuovo orientamento dell'esistenza, che non ha più il suo punto focale nel lavoro, nel guadagnare il pane, nella volontà e nel giudizio personale; essa invece è affidata alla volontà di un altro, di modo che l'essere insieme con lui, lo stare-a-disposizione per lui è divenuto il vero e proprio contenuto esistenziale.
Una piccola scena tra Gesù e Pietro indica con molta chiarezza quale rinuncia a ciò che è proprio, quale allontanamento da se stesso questo implichi. Poco dopo la moltiplicazione dei pani, che sembra segnare una profonda cesura nella vita pubblica del Signore, Gesù aveva annunciato per la prima volta ai discepoli l'oscuro mistero della sua vita; egli non sarà un messia radioso, come essi potevano ancora sperare in occasione appunto della moltiplicazione dei pani, nella quale, dopo tutto, egli sembrava svelarsi come il nuovo Mosè, che era in grado di rinnovare il miracolo della manna. No, egli verrà nascosto dall'ombra oscura della croce, soffrirà molto e infine verrà ucciso. Allora Pietro, presolo in disparte si mise a fargli delle rimostranze, racconta il vangelo. Ma Gesù si volta e lo redarguisce: va via, allontanati da me, Satana; tu non ragioni secondo Dio, ma secondo gli uomini (Mc 8,32s). Pietro, in certo qual modo, aveva cercato di liberarsi dell'imitazione e, invece di seguire, voleva camminare davanti, determinando per proprio conto la direzione del cammino. Ma egli viene rimesso bruscamente al suo posto: va via e va dietro a me! Imitazione significa realmente andar indietro, prendere la direzione che viene assegnata, anche se questa direzione è diametralmente opposta al proprio volere. Proprio perché intesa in senso così letterale la parola può penetrare nella zona più intima e profonda dell'uomo.

Da qui si può già capire un po' che si intende quando la chiamata dei discepoli, e con essa la natura dell'apostolo, viene descritta nei vangeli in forma stereotipa, con l'unica parola di Gesù: seguimi! Questa è anzitutto l'esortazione ad abbandonare la professione precedente, ma con più esattezza, è l'invito a lasciare se stesso per essere totalmente a disposizione di colui che a sua volta volle esistere per la parola di Dio completamente e in misura così intensa che la riflessione posteriore poté riconoscere lui stesso come la Parola di Dio incarnata.

Nel corso della vita di Gesù questo contenuto dell'imitazione assume una forma ancora più completa. Il suo messaggio, nel quale egli si presentò agli uomini l'intera grandezza della pretesa divina, ma anche tutta l'ampiezza della sua misericordia, lo aveva posto in conflitto con l'Israele ufficiale; egli venne espulso dalla Sinagoga, la sua uccisione oramai era cosa decisa. In questa situazione l'andare con lui acquista un nuovo carattere, che ha trovato la sua ripercussione nella frase: se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua (Mc 8,34)".

Discipula
00martedì 21 marzo 2006 22:37
Ancora dal blog di Gabriella ...
... la seconda parte della riflessione di Joseph Ratzinger sul significato di "Imitazione di Cristo".

"Anche queste parole in origine hanno un significato molto realistico; chi si unisce a Gesù si mette in compagnia con un reietto, deve aspettarsi di venir condannato come Gesù e di terminare sulla croce. Partendo da tale idea la prima cristianità ha inteso per imitazione di Cristo il martirio ed ha guardato al martire come a colui che porta a compimento fino in fondo il significato dell'imitazione, quello di dare se stesso per la testimonianza della parola.


II


Forse la riflessione sulle origini, che abbiamo intrapreso, più che dare un efficace indirizzo ha, a prima vista, un effetto piuttosto demoralizzante. Il messaggio dell'imitazione sembra, in ogni caso, essersi allontanato ancor più di quanto lo era già prima. Infatti noi non abbiamo più la possibilità di andar dietro all'uomo Gesù ed il martirio non ci appare più come il normale completamento dell'esistenza cristiana, di modo che anche l'orientamento alla disponibilità per il martirio conserva un carattere alquanto teoretico, a prescindere da tutti gli altri problemi che incontriamo in questo contesto.

Ma ad una osservazione più attenta si scopre ben presto che le forme storiche esterne, nelle quali l'imitazione di Gesù si realizzò in un primo tempo, non sono affatto decisive per essa, L'elemento decisivo è piuttosto l'interiore trasformazione dell'esistenza, ed è a questa che intendono portare le circostanze esterne. Questo cambiamento, in cui consiste il vero e proprio contenuto dell'imitazione di Cristo, ne esprime, allo stesso tempo, la possibilità di attuazione.

Abbiamo visto quanto già le primissime testimonianze siano chiare riguardo a questo processo interiore; il vangelo di San Giovanni e la lettera dell'apostolo Paolo ne hanno tradotto compiutamente il significato nella situazione della Chiesa dopo la partenza del Signore, nella nostra situazione. Il termine imitazione si ripresenta entro la parabola del buon pastore, nella quale si trova la frase: Quando ha menato fuori le sue pecore, cammina davanti ad esse, e le pecore lo seguono, perché conoscono la sua voce (Gv 10,4). Imitazione vuol dire qui conoscere la voce di Gesù e seguirla, pur nella confusione delle voci con cui il mondo ci circonda. In termini più chiari, imitazione significa affidarsi alla parola di Dio, porla al di sopra della legge del denaro e del pane, per farne la regola di vita. In una parola, imitazione significa affidarsi alla parola di Dio, porla al di sopra della legge del denaro e del pane, per farne regola di vita. In una parola, imitazione vuole dire fede, ma fede nel senso di una decisione senza riserve tra le due, e in fine dei conti due possibilità di vita dell'uomo, tra pane e parola. L'uomo non vive di solo pane, ma anche e innanzitutto della parola, dello spirito del pensiero. Si tratta tuttora dell'identica decisione che si presentò agli apostoli, quando fu loro detto: seguimi! Della decisione di puntare al guadagno o al profitto oppure alla verità ed all'amore; della decisione di vivere soltanto per sé oppure di dare se stessi.

Si chiarifica così cosa si intende per croce e martirio. Per comprenderlo basta leggere, in sostanza, la frase che in Marco segue all'invito a portare la croce. Chi vuol salvare la sua vita la perderà, ma chi perderà la sua vita per causa mia e dell'evangelo la salverà (Mc 8,35). Il vangelo di Giovanni ha commentato questa frase con il meraviglioso paragone del seme di frumento, che non può portare frutti in altro modo che cadendo per terra e morendo (Gv 12,24s). Soltanto perdendo sé l'uomo può trovare se stesso; soltanto quando lascia se stesso egli ritorna a sé. Questo reale e decisivo martirio del vero perdere-se-stesso è e rimane la condizione fondamentale per l'imitazione di Cristo, anche nei periodi di comodità, nei quali il cristianesimo, protetto dalla benevolenza statale, potrebbe essere propenso a dimenticare l'ombra della croce. E dobbiamo forse aggiungere ancora che l'imitazione di Cristo così intesa esprime la legge di fondo non solo dell'incarnazione di Dio, ma , ma anche divenir uomo dell'uomo.

Si tocca così un ultimo argomento. Diventa visibile il punto in cui si congiungono fede ed amore, che tanto spesso si sono contrapposti nella storia. Nella lettera agli Efesini di San Paolo si trova la profonda: Siate dunque imitatori di Dio...e camminate nella carità, come anche Cristo ha amato voi e ha dato se stesso per noi... (Ef 5,1). Seguire Cristo vuol dire accettare l'intima essenza della croce, l'amore radicale che in essa si esprime, e così imitare Dio stesso, che si è svelato sulla croce come colui che riversa se stesso sugli altri. Colui che abbandona la sua grandezza, per esistere a nostro favore. Colui che vuol governare il mondo non con potenza ma con amore e che rivela, nell'impotenza della croce, la sua forza, la quale agisce in forme completamente diverse da quelle della forza dei potenti di questo mondo. Seguire Cristo significa dunque entrare in quel perdere-se-stessi, che è la vera sostanza dell'amore. Seguire Cristo significa diventare uno che ama come Dio ha amato. Per questo Paolo può proferire quella che sembra una mostruosità: seguire Cristo è imitare Dio.

Dio è diventato uomo affinché gli uomini diventino simili-a-Dio. Imitazione di Gesù, dopo tutto, non è altro che un incarnarsi dell'uomo nell'essere uomo di Dio."

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