EDITORIALE DEL 3 SETTEMBRE 2005 - Cosa significa "fare filosofia"

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Valnar
00sabato 3 settembre 2005 01:57
è da molto tempo che la sezione degli editoriali, l'unica sezione seria (nel senso di: in cui non si cazzeggia) langue e ristagna... lo trovo un vero peccato, e così mi sono messo a frugare nelle mie cartelle di documenti se trovavo qualcosa di già pronto da pubblicare.
E così mi è capitato di incappare nell'inizio di un saggio che stavo scrivendo per dimostrare che il concetto che si ha comunemente della filosofia, quello che fa spaventare, per intenderci, non è il significato vero e proprio di "filosofia", anzi...
Purtroppo è un'opera incompleta, quindi mi vedrò costretto a pubblicarlo "a puntate". Per il momento ecco l'inizio, leggermente rimodellato (la versione originale conteneva termini troppo tecnici).





Cosa significa “fare filosofia”?

Come ha giustamente fatto notare il cardinale Ratzinger nell’omelia pronunciata all’apertura dei lavori del conclave in cui è stato eletto Papa, quella in cui viviamo è un’era in cui i valori stanno pian piano perdendo d’importanza (se non proprio scomparendo), in cui il relativismo dei punti di vista sembra l’unico trionfatore ed l'annullamento di ogni certezza e valore è quasi realtà definitiva. Per notarlo non ci vuole molto impegno, basta spingere lo sguardo soltanto poco oltre la superficie del mondo circostante per vedere il rapido ed inesorabile dissolversi di ciò che per secoli era stato ritenuto immutabile e fondamentale. Da questo punto di osservazione possiamo poi vedere che, come Nietzsche aveva chiaramente intuito, l’uomo comune senza valori non sa vivere: ha bisogno di un punto fermo a cui aggrapparsi, di una luce che lo guidi, di un terreno saldo sotto i piedi. È questo che ha spinto negli anni passati e spinge ancor oggi un gran numero di persone alla ricerche di vie spirituali alternative, siano esse la cosiddetta cultura new age (ormai piuttosto demodé), qualche forma di religiosità proveniente dall’estremo oriente o gli altamente discutibili valori del branco e della violenza. In mezzo a questo caos una non esigua minoranza (piuttosto in crescita) di persone ha deciso di cercare nella filosofia le risposte che non riesce a trovare altrove. Ma queste persone, sanno cosa significa “filosofia”? E noi, lo sappiamo? Che cos’è la filosofia oggi, che cosa dovrebbe essere, cosa significa “fare filosofia” sono tutti interrogativi che è necessario porsi per l’ennesima volta nel corso della storia umana. Io ritengo che, sebbene molti nostri eminenti antenati vi si siano già cimentati proponendo un gran numero di soluzioni più o meno complesse, convincenti o esaustive, andare alla ricerca di una risposta da soli non sia solo una futile oziosità, ma un passo necessario.
Frequentando le lezioni di un corso di laurea in filosofia mi è capitato di notare che persino coloro che hanno deciso di intraprendere lo studio di tale materia a livelli universitari spesso non si sono mai posti il problema di cosa stiano in realtà facendo (né se ne sono posti molti altri, a dire la verità), ingabbiati nel principio d’autorità che loro stessi attribuiscono ai testi e ai docenti (dopo più di mille anni non ci siamo ancora liberati dal peso dell'ipse dixit - il prendere per vero ciò che viene detto da una persona soltanto perchè è considerata autorevole). Se la situazione nei luoghi dove la filosofia dovrebbe, secondo il senso comune, raggiungere i suoi massimi livelli è tale, risulta evidente come le domande poste sopra siano questioni fondamentali che non è giusto né saggio evitare. Né è il caso di ritardare ulteriormente il momento di affrontarle, ora come ora… poiché io non credo che il significato di “filosofia” sia “studiare a memoria i libri su cui si sarà interrogati all’esame e lasciali poi lettera morta per preparare l’esame successivo” come potrebbe dire uno studente, “andare a teatro ad ascoltare la conferenza del tal filosofo” come sostiene una persona che è spinta verso questa materia solo dall’assenza di valori (convinta che “leggere libri di filosofia” significhi “trovare certezze”) o “dire insensatezze sul mondo prive di alcuna utilità pratica” come potrebbe sostenere un ingegnere o una persona incolta (ognuno per le sue peculiari motivazioni, sia ben chiaro, non sto dicendo che gli ingegneri sono gente incolta, anzi…).
«Ma chi è questo qua, questo sconosciuto venuto dal nulla, che viene a sputar sentenze su questioni che i filosofi hanno già dibattuto da un sacco di tempo? Tornatene a studiare sui tuoi libri, che fai più bella figura!» mi sembra quasi di sentire qualcuno che me lo urla dietro. Sì, il mondo non è mai cambiato granché: gente del genere era nel mondo accademico in passato non meno di adesso: gente che vuole tenersi stretto quel minimo di influenza che ha e tenta di seppellire il fatto che la filosofia è in primo luogo un esercizio di libertà.




*a presto per la seconda parte - intanto potete iniziare a chidere, commentare, criticare, eccetra*
BlackButterfly85
00sabato 3 settembre 2005 11:54
ora non ho tempo materiale ne soldi contanti x pagare l'internet point ma se vieni oggi pomeriggio a roma credo che ne parleremo volentieri di tutto ciò!! [SM=x527492]
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