Signore e signori, ecco a voi l'Egitto...
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PRIMA PARTE: “La ripresa dello stato egiziano (533-550)”
Dopo che nell’anno 508 (1130 d.C.) dall’Egira il califfo fatimida al-Amir fu assassinato, e il potere passò a suo fratello al-Hafiz, lo stato egiziano piombò in una terrificante crisi di corruzione e slealtà. I cuori dei fedeli musulmani, faticarono a seguire le intricate vicende dei numerosi capi che si susseguirono in pochi anni, uccidendosi a vicenda. E approfittando di questo momento di confusione e debolezza, i cani franchi del Regno Crociato di Gerusalemme occuparono Ascalona, ricca città costiera. Tristemente, i fatimidi non furono neanche in grado di abbozzare una reazione, per cui il duro colpo passò nel silenzio.
Questa era la situazione geografica del Sultanato fatimida d’Egitto:
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Finalmente, nel 533 (1155 d.C.), prese il potere il sultano al-Zafir, un personaggio più devoto ad Allah dei suoi predecessori. Oltre ad essere un buon credente, egli era, nei suoi 49 anni, un uomo sano e amante degli studi matematici.
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L’obbiettivo che questa ennesima guida si poneva, era quello di ripristinare almeno una parvenza di stabilità nello stato egiziano. Dunque, il Sultano diede inizio a una politica di ampliamento delle strutture commerciali e agricole delle province del sultanato. Purtroppo, per compiere questo duro lavoro, erano necessari soldi e uomini fedeli, e al momento vi era carenza di entrambi. I figli del Sultano erano troppo giovani per poter essere nominati eredi; quindi, il Principe ereditario era Talì ibn-Russik, il quale si mostrava leale al suo signore. Ma è facile essere leali quando si è in posizioni privilegiate.
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Comunque, Talì era un esperto stratega, il migliore allora disponibile ai fatimidi, pertanto gestiva la delicata provincia di Dumyat, al confine con lo stato crociato; era quella una zona nevralgica per il sultanato, giacché solo quella provincia separava dei possibili invasori dai ricchi granai del Nilo. Degli altri, numerosi, generali egiziani, nessuno spiccava per personalità o fedeltà; ma il Sultano aveva notato che i meno fedeli al suo regime, erano i governatori delle città più meridionali del Nilo, che non si facevano scrupoli a “fraintendere” le parole del loro signore.
Al-Zafir, per il bene del suo popolo e della vera fede, mandò diversi imam in viaggio per i suoi territori, al fine di diffondere maggiormente la fede fra le genti, i cui pensieri in tempi di confusione, diventavano facilmente empi e poco rispettosi. Dato che con il passare di alcuni anni, la situazione appariva tranquilla, il Sultano decise che era il caso di attuare provvedimenti deplorevoli ma necessari: le tasse vennero alzate ovunque, giacché il tesoro del sultanato, era tutto andato speso nelle nuove edificazioni. Questa fu una mossa difficile da compiere, e il signore d’Egitto dimostrò un notevole coraggio nella sua decisione. Tale provvedimento era ovviamente insufficiente a risolvere i problemi economici, così al-Zafir diede ordine che un emissario fosse inviato presso la corte del falso re di Gerusalemme, per proporre trattative commerciali. Nel 534 (1156 d.C.), l’emissario fatimida Fahim, giunse dunque a Gerusalemme.
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Egli era uno scrupoloso uomo di cultura, che amava visitare nuovi luoghi per apprenderne le usanze e la storia; per lui, visitare la città più contesa del mondo, fu una grande gioia. Venne accolto in un’atmosfera stranamente rilassata, e non ci furono difficoltà di sorta nell’ottenere un reciproco scambio di mappe, e dei proficui accordi di commercio. A quanto pareva, l’attuale re di Gerusalemme Baldovino III, non desiderava che ci fossero rancori per la presa a tradimento di Ascalona.
Considerati i primi successi nella politica interna, la condotta di al-Zafir, cominciò a riscuotere successi, e il suo prestigio aumentò. Era pur vero, però, che a fin di bene il Sultano teneva nascosto il fatto che il bilancio monetario del sultanato fosse in rosso. Il Concilio dei nobili signori d’Egitto, ritenne opportuno intavolare trattative con i fratelli di credo dell’Atabeg Jazira, recentemente unificato con la conquista di Damasco da parte dell’intraprendete Nur-ad-Din. Come ogni buon credente dovrebbe fare, i siriani accolsero onorevolmente l’emissario Fahim, e accettarono di stipulare un’alleanza e trattati commerciali, con i loro amici fatimidi.
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Uno spiraglio del genere poteva significare molto: che magari la divisione del grande popolo musulmano, che aveva permesso agli infedeli di conquistare i luoghi sacri di Gerusalemme, potesse essere risanata? Con tale speranza,i nobili fatimidi richiesero che fossero presi accordi anche con i Turchi Selgiuchidi. Anche da costoro, Fahim fu accolto da vero amico, e non fu difficile contrarre una nuova alleanza. Tuttavia, il Sultano non poteva compiacersi troppo dell’affabilità del suo emissario, perché in patria la situazione economica a lungo nascosta, cominciò a trapelare agli occhi della gente, quando si iniziò a notare che terminati i primi ampliamenti, le costruzioni non venivano ulteriormente espanse; inoltre, in tutte le città, vennero sciolti grandi gruppi di armati. Il Sultano e il suo Principe, scelsero di adottare numerosi credenti, in modo da mandare questi fedeli generali nelle città più distanti dalla capitale egiziana, Al Qahira, e raggruppare i generali più indisciplinati nelle regioni vicine al vigile occhio del Sultano al-Zafir. Naturalmente la menzogna, seppur a fin di bene, non poté rimanere segreta ancora per molto. Quando si seppero in giro le reali condizioni del tesoro, il prestigio del Sultano calò a picco, e molti nobili scelsero di schierarsi apertamente contro la loro guida, creando un elevati rischio di guerra civile. Oltre al Principe ereditario, rimasero fedeli al loro capo i generali Reis Ali e Shawar. La fedeltà di quest’ultimo fu un’ottima cosa, giacché Shawar era l’eccezionale governatore di Al Quahira. Un dramma familiare si consumò quando il figlio adottivo del Principe Talì, Adid Gamal, rinnegò pubblicamente il patrigno e parlò a favore dei rivoltosi. Talì, con grande dolore, dovette far esiliare il figlio dal castello di Dumyat, e fu un atto generoso, poiché la pena solitamente commisurata ai traditori del proprio sangue, era la morte. Comunque, dopo quell’evento, il Principe fatimida sviluppò una sorta di paranoia in forma leggera, per cui non riuscì mai più a fidarsi fino in fondo delle persone che gli stavano attorno.
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Dopo lunghi sforzi, però, la politica di tagli di al-Zafir, ebbe finalmente successo, e nuovi, seppur deboli, introiti, giunsero nelle tesorerie di Al Quahira e Al Iskandarya. Con essi, venne subito avviata la costruzione di un nuovo mercato nella capitale, in modo da mostrare che finalmente chi aveva seminato raccoglieva i suoi frutti. Nel 537 (1159 d.C.), Fahim l’emissario si trovava nell’Anatolia meridionale, e fece sapere con messaggi al suo Sultano, che la città indipendente di Adana era stata conquistata dal Regno Crociato; l’espansione degli infedeli preoccupò tutto l’Islam, e il Sultano al-Zafir si volle arrabattare alla ricerca di altri potenziali alleati contro i franchi. L’occasione di trovare tali alleati, si presentò quando una guerra scoppiò fra i bizantini e il Regno Crociato.
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Il Sultano egiziano, decise di stabilire nuovi accordi anche con l’Impero dei cristiani di Costantinopoli. Dunque, il diplomatico Fahim si rimise in viaggio, attraversando le selvagge terre turche, dirigendosi verso la poderosa città bizantina. In patria, intanto, la nuova distribuzione dei generali nelle varie posizioni di potere, consentì di tenere sotto controllo i possibili ceppi di ribellione. Inoltre le casse del sultanato tornarono a ospitare sempre più oro, e di conseguenza la popolazione si sentì meno incline a criticare la propria guida politica e spirituale; finalmente, il prestigio di al-Zafir, tornò a crescere.
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Quando il tempo volse all’estate del 538 (1160 d.C.), Fahim giunse alla possente corte bizantina, dove restò stupefatto dalla seconda Roma. Notando la sua curiosità, l’imperatore Manuele Comneno gli fece visitare il suo dominio in lungo e in largo, e ciò favorì certamente lo stipulo di un’alleanza fra due popoli tanto diversi. Si conclusero anche altri vantaggiosi accordi, sia per i fatimidi, che per i bizantini, quali diritti di commercio e scambi di mappe. Volle la sorte che, proprio dopo l’alleanza con i bizantini, una spia del Sultano al-Zafir, che da tempo teneva d’occhio la Palestina, fosse scoperta mentre sondava la consistenza delle truppe di presidio al castello di Kerak. Gli infedeli non presero bene la notizia, e le relazioni fra lo stato egiziano e quello crociato, divennero di colpo piuttosto scadenti.
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Una guerra in un momento tanto delicato, però, era tutt’altro che auspicabile, e la guida dei fatimidi cercò di evitare che ci fossero altri motivi di contrasto fra due stati già rivali da tempo. Inoltre, per prudenza, il Sultano, fece iniziare la costruzione di una nuova caserma a Dumyat. A parte quel castello, però, in tutti gli altri centri del sultanato fu avviata la costruzione di strutture commerciali.
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Al-Zafir, infatti, vedeva nel potenziamento del commercio la soluzione alla situazione economica del suo paese; per tale motivo, fece stipulare accordi commerciali anche con i Magiari, e i Cumani – cosa di cui i nobili furono molto felici – , inviando fra l’altro molti mercanti a valorizzare le preziose risorse egiziane.
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Ad Al Qahira, poi, fu concessa l’autorizzazione per la costruzione di una gilda dei teologi, che portasse nuovo splendore alla fede islamica, diffondendone le tradizioni e i concetti originari. Quando giunse l’anno 541 (1163 d.C.) dall’Egira, per tutto il sultanato erano in corso lavori di costruzione, e l’economia tendeva a produrre un buon incasso stagionale. Tuttavia, le torri di confine a est di Dumyat avvistarono preoccupanti assembramenti di truppe crociate.
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Pur temendo un attacco, il Sultano non poté autorizzare il reclutamento di nuovi reparti, onde evitare un appesantimento eccessivo delle spese nel bilancio economico, che era in una delicata fase di crescita. Nel 542 (1164 d.C.), il figlio naturale primogenito di al-Zafir, raggiunse la maturità; il suo nome era al-Fa’iz.
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Il giovane era impetuoso e ingenuo, tanto che molti lo pregavano di badare maggiormente alla sua sicurezza; ma egli confidava devotamente in Allah, che sa quando una vita deve finire e quando no. Inoltre era un tattico promettente, ma non un governatore esemplare. Purtroppo, i suoi rapporti col padre si inclinarono, e al-Fa’iz provava un leggero disprezzo verso quell’uomo, che pur avendo lui raggiunto la maturità, aveva lasciato che il Principe ereditario fosse Talì ibn-Russik. Pertanto, il “giovane diseredato”, come fu soprannominato dal popolo, partì da Al Iskandarya, e si mise a peregrinare lungo le sponde del Nilo, spingendosi di tanto in tanto nel deserto, che amava. Mentre questo succedeva, si era notato che nella provincia del Wahat Siwa, un eretico di nome Esau, stava radicando idee empie nei cuori delle genti del deserto. Allora, il più devoto degli imam fatimidi, Mahfouz, si recò nei luoghi di predicazione di questa serpe, e fece sì che Esau fosse condannato a morte.
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Negli anni 543 e 544 (1165-1166 d.C.), entrò nella maggiore età anche il secondogenito del Sultano, al-Adid, un giovane devoto e un attivo costruttore, e furono siglati trattati commerciali con la Serenissima Repubblica di Venezia. Ma eventi ben più spaventosi scossero le nazioni islamiche in quegli anni: il capo religioso degli infedeli, indisse una crociata verso la città siriana di Halab, situata a est della città franca di Antiochia. I popoli cristiani non persero tempo e i primi ad aderire all’invasione mascherata da sacra missione, furono gli uomini d’Ungheria.
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Nel frattempo, in Palestina, un mercante siriano di nome Abi Abas, estromise le attività di commercio di vino che gestiva un mercante fatimida.
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Restò comunque una iniziativa significativa quella di Fahim, il quale, nel suo viaggio attraverso Europa, dopo Venezia, non mancò di recarsi alla corte milanese, ottenendo patti di commercio anche lì.
La chiamata di Allah, arrivò infine per il Sultano al-Zafir, che nel 545 (1167 d.C.) morì a seguito a una violenta crisi di tosse.
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Vennero momenti di tensione, nello stato fatimida: la nomina di Talì ibn-Russik a nuovo Sultano, ebbe la conseguenza di spostare la sovranità sull’Egitto alla famiglia di quest’ultimo. Difatti, dopo essere stato formalmente riconosciuto nuova guida dai nobili riunitisi ad Al Qahira, Talì annunciò che il nuovo Principe ereditario era suo figlio al-Adid, omonimo del secondogenito del vecchio Sultano. Al-Fa’iz, il diseredato, non fece nulla. L’unico segno di protesta, fu che non si recò a onorare il nuovo Sultano alla capitale. Quel giorno pare che fosse impegnato a fare un bagno nel Nilo. Comunque, il popolo pianse caldamente per il defunto al-Zafir, poiché era stato suo il merito di riportare lo stato egiziano a una situazione interna pacifica e in via di sviluppo.
Pochi giorno dopo la cerimonia che lo ufficializzava Sultano, Talì fece convocare al-Fa’iz ad Al Qahira, e gli si rivolse privatamente, con parole fraterne. Egli non voleva che ci fossero rancori fra i due rami della famiglia, e soprattutto con lui, che aveva sempre visto come un fratello minore. Visto che il giovane diseredato rimase colpito a queste parole, e giurò fedeltà al nuovo Sultano, ricevette la nomina a capo delle forze armate egiziane. Ma l’anno 545, vedette ancora altri grandi eventi prendere forma. Dopo aver convertito molte genti all’Islam, l’imam Mahfouz, decise che era il momento di porre un obbiettivo comune a tutte le comunità islamiche, per mostrare ai cristiani come un’unione di esse, potesse essere letale. Dunque, il visionario imam predicò in lungo e in largo una Jihad verso il regno indipendente di Barqah.
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Al Fa’iz, consultatosi velocemente con il Sultano Talì, giudicò che la meta fosse anche un utile obbiettivo per l’Egitto, e dunque si affrettò a riunire degli armati e a marciare verso Barqah. Sorprendente fu la reazione delle altre fazioni islamiche: sia i Mori, ad ovest, sia i Turchi Selgiuchidi e i Siriani, a est, si affrettarono a mandare le proprie armate sante verso la terra predicata da Mahfouz. Tuttavia, una sorpresa attendeva le genti musulmane alle porte di Barqah: due potenti armate bizantine stavano già assediando il castello. Al-Fa’iz si unì agli alleati di Costantinopoli, e parlò con i capitani Pietro e Fozio, chiedendo loro di lasciare che fossero le genti musulmane a conquistare il castello. I due, però, si ostinarono, e si giunse a un accordo solo quando si decise che il castello sarebbe stato dei soldati che avrebbero conquistato la piazza centrale. Dunque, il capo delle armate egiziane, dovette pazientemente unirsi all’assedio bizantino.
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Nella primavera del 546 (1168 d.C.), al campo degli assedianti fatimidi giunsero messaggeri siriani, turchi e mori, annunciando che le loro armate erano vicine, e in caso di tradimento dei bizantini, sarebbero intervenute. Era comunque vitale prendere la piazza, onde evitare la guerra con gli alleati. A giugno, l’attacco finale al castello fu lanciato dalle forze bizantine ed egiziane congiunte. I capitani Pietro e Fozio costruirono scale, torri d’assedio e un ariete, e si posizionarono frontalmente al castello, intendendo usare la propria schiacciante superiorità numerica per travolgere i nemici. Al-Fa’iz, invece, aveva fatto costruire ai suoi uomini molte scale, e li aveva schierati sul pendio che conduceva alle mura posteriori del castello, quelle che proteggevano direttamente la piazza. Il suo piano era sfruttare la divisione delle forze nemiche, per attaccare la piazza e prenderla immediatamente.
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Comunque, c’era una cosa che nessuno degli assedianti aveva calcolato, ed era la grande preparazione delle truppe ribelli, sicuramente una preparazione non comune. L’assalto iniziò verso mezzogiorno; le truppe fatimide avanzarono a passo veloce con le loro scale, consci di non dover solo sconfiggere il nemico, ma di doverlo fare anche prima degli alleati-rivali.
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Anche i bizantini si misero subito all’opera, e presto i loro uomini dalle uniformi sgargianti, raggiunsero le mura con gli strumenti d’assedio.
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Quando gli uomini di al-Fa’iz scalarono le mura in diversi settori, non trovarono alcuna resistenza, e poterono osservare per un attimo la disposizione dei nemici: in modo imprevisto, questi si erano schierati tutti intorno alla piazza, rendendo vane le speranze degli egiziani di trovare forze divise e deboli ad attenderli. Immediatamente, accortisi che degli invasori erano sulle mura a loro più vicine, i ribelli mandarono reparti di fanteria a difendere i torrioni dai quali si poteva scendere in strada.
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E così, mentre ancora la maggior parte dei soldati era sulle scale, i difensori del castello ingaggiarono un cruento combattimento con le truppe tribali che per prime avevano scalato le mura.
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Mentre la situazione degli egiziani si aggravava, i bizantini irruppero frontalmente, sbaragliando l’unico reparto nemico che era a guardia del portone.
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Il combattimento si fece più accanito, giacché i fatimidi dovevano compiere una santa missione, e non avevano la minima intenzione di fallire. Finalmente, un tratto di mura fu sgomberato dai nemici, e gli arcieri poterono prendere posizione per rispondere allo spietato fuoco nemico che proveniva dalla piazza.
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Mentre ciò avveniva e i fatimidi ottenevano coraggiosamente il possesso delle mura, i bizantini furono bloccati in strada da degli agguerriti reparti di lancieri nemici, ben decisi a non farli passare.
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A questo punto, con le sue truppe che si schieravano di fronte alla piazza scendendo dalle mura, al-Fa’iz entrò nel castello dal portone sfondato dagli alleati di Costantinopoli, galoppò impetuosamente verso i nemici, e li caricò, iniziando la carneficina nella piazza. E le armature splendenti dei cavalieri del seguito, si tinsero di rosso, continuando a mandare bagliori alla luce del sole.
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Finalmente anche la fanteria attaccò gli ultimi ribelli che resistevano, mentre solo i rincalzi riuscirono a salvare i bizantini dalla sconfitta contro due miseri reparti di lancieri nemici. Ma oramai era fatta, Allah aveva concesso alle truppe impegnate nella loro sacra missione, di conquistare la piazza.
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E così terminò la battaglia, con i fatimidi, che pur avendo subito una quantità moderata di perdite, avevano raggiunto il loro obbiettivo, conquistando per primi la piazza, mentre i bizantini, con ben 400 morti alle spalle, non erano riusciti a precedere le genti dell’Islam.
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Si presumeva che la disputa fra alleati si concludesse così, ma i bizantini non ci stavano. I loro capitani, con presunzione, e usando la propria superiorità numerica, fecero minacce affinché gli egiziani lasciassero il castello, che era ora parte dei domini dell’Impero di Costantinopoli. Infuriato, il generale al-Fa’iz dovette acconsentire a far sloggiare le proprie truppe dalla piazza, imparando così che le genti dell’antica Bisanzio, non erano degne di fiducia. Tuttavia, il prode condottiero fatimida, pregustava già la vendetta, poiché le armate degli altri popoli musulmani erano in arrivo, e con il loro aiuto, Barqah sarebbe finalmente caduta nelle giuste mani. Così, quando arrivarono le armate siriane e turche, al-Fa’iz si incontrò con i loro generali, il siriano Ibn al-Athir e il turco Suleymish Mumcu, e insieme decisero di mandare un ultimo avvertimento ai bizantini. Questi, che fra l’altro avevano perso in battaglia il capitano Pietro, rifiutarono di lasciare il castello, e dunque, al Fa’iz la assediò per la seconda volta, sciogliendo l’alleanza. Con fervore, i veri credenti fabbricarono scale e un ariete. Poi attaccarono battaglia. Le truppe bizantine rintanate nel castello e guidate da un nuovo capitano di nome Giovanni, non erano molte, ma avevano i rinforzi del capitano Fozio a disposizione. In compenso, i seicento fatimidi che assaltarono le mura, avrebbero ricevuto a momenti i rinforzi di ben duemila uomini, fra siriani e turchi. L’avvicinamento della già decimata armata egiziana fu molto cauto, e il generale al-Fa’iz ordinò di mantenere dei ranghi molto larghi.
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Le scale non tardarono ad essere appoggiate sulle mura, in diversi punti, in modo da non permettere al nemico di concentrare le sue truppe pesanti in un solo punto. I primi reparti a iniziare il combattimento furono i soliti ferocissimi guerrieri tribali.
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I bizantini si erano schierati bene; avevano inoltre avuto l’accortezza di disporre parte delle proprie forze alla base delle mura; queste forze, irruppero improvvisamente dai torrioni, rendendo durissimo il combattimento.
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Nel frattempo, l’armata degli alleati siriani aveva ingaggiato un aspro e mobile combattimento con i rinforzi bizantini del capitano Fozio.Finalmente, l’ariete fatimida divelse le porte del castello, e notando che un solo reparto nemico presidiava l’ingresso, mentre molti altri lottavano sulle mura, il generale al-Fa’iz prese condusse la cavalleria attraverso il portone.
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Sulle mura, però, la situazione permaneva incerta. A destra, gli stoici lancieri pesanti bizantini, davano del filo da torcere ai lancieri saraceni, che erano stati accerchiati.
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Nel frattempo, a sinistra, le mura erano un brulicare delle truppe più svariate che correvano cercando ognuna di prendere alla sprovvista il proprio nemico. Ma la vista improvvisa degli stendardi dei turchi che si avvicinavano alle mura per dare man forte ai loro correligionari, rinnovò il morale egiziano e fiaccò quello bizantino, e finalmente i lancieri pesanti sulla destra ruppero i ranghi, consentendo alle truppe fino a poco prima accerchiate di andare ad aiutare i compagni più bisognosi.
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Con una reazione a catena, gli egiziani finirono di conquistare le mura proprio mentre i primi turchi vi giungevano urlando festosi. La cavalleria fatimida si dedicò all’inseguimento dei nemici che avevano raggiunto le strade.
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Giunse poi in una gigantesca baraonda la cavalleria siriana, portando la notizia che lo scontro con i rinforzi bizantini era terminato, e il capitano Fozio era morto.
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A questo punto i simboli della Jihad presero a sventolare ovunque nel castello, e le ultime bandiere bizantine erano quelle raggruppate nella piazza, che sembravano tremare al vento come dovevano tremare dalla paura gli uomini che le reggevano. Seguendo la cavalleria siriana, il generale al-Fa’iz si scagliò contro gli ultimi nemici, incurante di aspettare la propria fanteria.
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Allah volle che quel gesto non gli costasse la vita, miracolosamente. Alla fine i cavalieri ebbero la meglio sui lancieri bizantini, che, accerchiati e massacrati, non offrirono una gran resistenza.
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Fra quegli ultimi, morì anche il capitano Giovanni. Alla fine della battaglia, gli schieramenti islamici non riportarono serie perdite, mentre gli eserciti bizantini, risultarono completamente annientati.
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Barqah venne occupata dalle truppe egiziane senza ulteriori spargimenti di sangue. La jihad si era conclusa vittoriosamente, e aveva avuto risultati estremamente positivi: il primo e più evidente, era un successo per l’Islam, e in particolare per lo stato egiziano; il secondo, era un nuovo livello di coesione raggiunto dalle fazioni medio-orientali, che erano ora più unite che mai.
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E così nell’anno 547 dall’Egira (1169 d.C.) divenne chiaro a tutti che un Islam unito poteva far tremare il mondo.
Questa era allora la situazione del Sultanato egiziano:
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L’emissario egiziano Fahim ,continuò il suo viaggio, toccando corti inglesi e francesi, e concordando con entrambe le fazioni trattati commerciali. Le recenti vittorie, inoltre, portarono a un favorevole cambiamento di seggi nel Concilio dei Nobili.
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Con queste favorevoli condizioni, e un’economia in crescita sempre più tranquilla, nel 549 (1171 d.C.) il Sultano Talì fece varare la prima flottiglia da guerra egiziana nel porto di Dumyat. Questa flottiglia era necessaria per compiere la recente missione discussa in Concilio, che concerneva la possibilità di un blocco navale al porto bizantino di Tessalonica. Una volta completata la missione, le casse del tesoro furono arricchite da una ricca donazione. Mente questa era la situazione in patria, all’estero c’erano problemi per i siriani. La crociata indetta su Halab, condusse fuori dalle mura della città nutriti eserciti europei. Con audacia e fervore sconfinati, i prodi musulmani dell’Atabeg Jazira, sconfissero un’armata di Milano, una di Gerusalemme e una del regno d’Ungheria, in poco tempo. Queste colossali vittorie, però non bastavano, giacché altri infedeli giungevano dalla Polonia e dalla Danimarca. L’ideale sarebbe stato ricevere aiuto dagli alleati, ma il Sultano Talì, non volle correre un tale rischio, preferendo mettere a repentaglio la sicurezza di un altro popolo, seppur correligionario, piuttosto che quella dell’Egitto, sottoponendolo a una prova affrettata. Quasi che Allah fosse adirato con il Sultano, egli cadde da cavallo mentre girava attorno alle mura di Al Qahira, nell’anno 550 (1172 d.C.) dall’Egira. Il suo successore fu il figlio al-Adid.
TO BE CONTINUED…