Il vero nome di Billie era Eleonor Fagan (Fagan era il cognome della mamma) e nacque il 7 Aprile del 1915 a Baltimora.
La sua storia non sarebbe così diversa dagli altri artisti di colore soprattutto perché, come lei, cominciarono molto presto a conoscere la disperazione e la miseria, egregiamente poi espresse nei loro canti di dolore.
Ma a Billie, al contrario, successe qualcosa quand’era una bambina che le segnò il resto della sua poi tormentata esistenza.
Billie nacque da una travolgente anche se breve storia d’amore di due giovanissimi ragazzi, molto più superficiali che innamorati, difatti, trovandosi del tutto impreparati e irresponsabili, attendono la nascita della piccola Billie, per poi ognuno prendere la propria strada senza preoccuparsene più di tanto. Nata Billie, il giovane papà, Clarence Holiday, un musicista di banjo, (quindi lo strumento che a quanto pare, mi accompagnerà in tutte le mie storie) preso dagli impegni di lavoro, abbandonò presto moglie e figlia.
La mamma, dunque, impegnata anche lei per cercare lavoro, lasciò dapprima la figlia ad una cugina, che maltrattava la piccola Billie, e poi la rinchiuse in un riformatorio. Billie racconterà in una sua autobiografia
“Bitter Crop” le vicissitudini vissute nella sua tormentata infanzia.
Ricorda che quando i suoi genitori si sposarono, il papà aveva 18 anni e la mamma 16 e lei già 3 anni. A 6 anni era considerata una “donna” perché già molto alta per la sua età e con forme che cominciavano a dare femminilità al suo corpicino di bimba.
Billie crescendo, la mamma si divertiva a chiamarla Billie per i suoi modi da “maschiaccio” e anche se giovanissima iniziò a lavorare presto per sostenersi, quando ancora andava a scuola, nelle ore prima e dopo le lezioni scolastiche.
Nei pressi di casa sua, c’era però un bordello che lei in un primo momento, sia per la sua giovanissima età e per questo completamente ingenua e in buona fede, si recava spesso per offrire gratuitamente il suo aiuto ad Alice, proprietaria di questo bordello, per tenere puliti gli ambienti e che in cambio, invece di ricevere denaro, desiderava ascoltare i dischi di Louis Amstrong e Bessie Smith sul grammofono del salottino.
Purtroppo poco più tardi a soli 10 anni, Billie venne impunemente violentata, non capendone forse nemmeno il significato, se non per via del dolore atrocemente subito.
Quando poi il bordello fu scoperto, Billie fu arrestata insieme alle altre ragazze e condannata 4 mesi di prigione.
Uscita dal carcere, Billie trovò lavoro come ballerina in un locale notturno perché anche se non sapeva ballare la sua voce fu presto notata ed il proprietario fu ben contento di farla cantare invece che danzare.
La sua carriera di cantante cominciò girovagando tra i locali di Harlem e fu allora che venne chiamata
“Lady” (la Signora), un appellativo rimastole poi per sempre, perché al contrario delle sue colleghe, non accettava le mance che “suinamente” i clienti erano soliti lasciare tra le loro cosce.
Fu nel 1933 che Billie fu “scoperta” da Jon Hammond e raccomandata a suo cognato Benny Goodman, e così incise i suoi primi brani.
Essi erano
"Your Mother’s Son-in-law" e
“Riffin’ The Scotch”. Purtroppo però furono ignorati. Ma continuò a registrare. Più tardi, nel 1935 firmò un contratto con Teddy Wilson, un pianista, a favore dell’etichetta
“Brunswick” e questa fu la volta buona per farsi conoscere al grande pubblico.
La voce di Billie era senza tempo, si avvertiva in lei una dolcezza drammatica ed intensa, la parole si confondevano con la musica, perché le sue corde vocali proprio come delle nuvolette erano sempre pronte a cullare ogni ascoltatore e farlo poi volare. Era certo che facesse provare intense emozioni anche con canzoni apparentemente banali. ( proprio come Elvis...
)
Successivamente Billie incise molto con l'orchestra di C. Basic e poi con quella di A. Shaw. Lavorò con i più grandi jezzisti dell’epoca. Fu particolarmente legata a Lester Young. Il loro sodalizio andava al di là del piano strettamente professionale. E così “Lady Day” e “President” o “Prez”, come si chiamavano reciprocamente, sfoggiavano, nella loro intesa, un magico feeling musicale, in cui entrambi trovavano facile sfogare il proprio tormento con una intensa e addolorata sensibilità tipica della loro personalità.
Nel 1939, con
“Strange Fruit”, Billie coraggiosamente voleva affrontare il tema razziale sempre così scottante in quel periodo, in cui raccontava dietro la metafora del “frutto”, il corpo straziato e poi ucciso di un nero, per poi venire appeso ad un albero.
Nel 1947 Billie recitò nel film
“New Orleans” con Louis Amstrong. Ma quegli anni, furono segnati da due brutte “ferite”: la morte della madre e la fine del suo breve matrimonio. Per questo faceva spesso uso di stupefacenti e venne anche arrestata e reclusa per un anno dal 1947 al 1948. Arrivò faticosamente ai primi anni ’50 e nel 1954 partì per una tourneé in Europa, ritrovandosi anche qui in Italia, tra il 3 ed il 9 Novembre del 1958, in un teatro di avanspettacolo. Ma il pubblico italiano non comprendendo il Jazz
( e non solo quello) non apprezzò lo spettacolo della Holiday, costringendola persino a saltare anche alcune canzoni previste per la serata.
Ma come a volte capita, nel nostro paese si riesce in qualche modo a sorprendere, qualcuno che aveva certamente buon gusto e di jazz se ne intendeva, pregò la nota cantante di presenziare uno spettacolo poi ribattezzato “riparatore” al Gerolamo, in piazza Beccaria di Milano. Billie fu lieta di andarci e rese quel concerto davvero magico e sublime, tanto da meritare una scrosciante ed interminabile acclamazione.
Billie morì a soli 44 anni il 17 Luglio del 1959 in un ospedale di New York, per una grave epatite. Anche se il suo debole cuore fu già messo a dura prova qualche mese prima, per l’improvvisa scomparsa del suo Lester Young, non potendo nemmeno cantare al suo funerale.
Billie Holiday è considerata una delle più grandi cantanti di genere jazz e blues di tutti i tempi. E’ stata una sublime interprete di un canto amaro e tormentato, dove la sua voce dolcemente tremula è riuscita a toccare note quasi inesprimibili e suscitare forti ed intense emozioni in chiunque l’ascoltasse.
La Holiday è stata spesso paragonata a Bissie Smith, in quanto come la regina del blues, fu erede della musica del ghetto nero,esprimendo per questo egregiamente, l’esistenza penosa legata a quel tipo di ambiente.
Billie, come ho ricordato prima, scrisse un’autobiografia
“Bitter Crop” (“amaro raccolto”, riferendosi anche al testo di Strange Fruit) che poi l’editore chiamò
“La Signora canta il blues” del 1956, da cui poi fu anche tratto il film nel 1973.
La sua influenza sugli altri artisti dell’epoca ed anche attuali è indiscussa, oltre ad essere notevole. Janis Joplin, come Nina Simone ripercorsero le sue gesta canore. Diana Ross la impersonò nel film girato sulla sua vita. Ed anche gli U2, incisero una stupenda canzone a lei dedicata
“Angel Of Harlem”, in cui un passo del testo dice “ Lady Day ha occhi di diamante, vede la verità dietro le bugie”.
Tra i più grandi successi di Billie, spiccano brani indimenticabili come:
"My Man", "Miss Brown To You", "He Ain’t Got Rhthm","Fine And Mellow","Ghost Of Yesterday","I'm A Fool To Want You","Some Other Spring".